Carlo Bonini, giornalista di Repubblica, ci consegna quello che, a tutti gli effetti, è un racconto in presa diretta. Un rullo tipografico di violenza e odio che parte dal 2001 e che ancora deve produrre un’eco vera e propria, nel senso che l’onda sonora è ancora in atto e continua a urlare, anche se sottovento.
ACAB è una cronaca col ritmo di un romanzo di Ellroy, serratissimo, martellante come un’ossessione paranoide e, come questa, apparentemente senza senso e origine. Ma nelle vicende reali di celerini sulla via della sconfessione del loro credo nero e di liturgie caotiche di ultras – in cui nessuno è innocente – l’origine di tutto sta in un buco nero, quello che s’è inghiottito lo Stato italiano.
È proprio il caso di dire che si esce dalla lettura di questo libro con le ossa rotte e con una gran confusione in testa.
Commentando il libro su Repubblica.it, Gabriele Romagnoli scrive: "Qualcuno potrà accusare Bonini di aver contratto una "sindrome di Stoccolma" verso i celerini. Chi pensa che "tutti i poliziotti siano bastardi" non legga questo libro, ma neppure chiami mai il 113."
L’impressione, in tutta sincerità, è un’altra. Un qualcosa che dovrebbe spingere tutti a leggere questo libro, quantomeno per rifletterci sopra.
Emerge cioè un lato distintivo del nostro Paese che spesso viene dimenticato: gettare tutto in un gioco delle parti senza senso, di guelfi, ghibellini, rossi e neri che non produce altro che un teatro di burattini di carne (qui portato al paradosso che vede fascisti contro fascisti). Uno spettacolo che, se non distrugge direttamente la vita delle persone, la avvolge in una nebbia che obnubila la ragione, facendoci sprecare il tempo in discussioni da salottino televisivo.
Qua non è questione di stabilire se "tutti i poliziotti sono bastardi" (la domanda è lapalissiana: certo che no): la cosa che spaventa e atterrisce è la possibilità che in un futuro, non si sa quanto lontano, lo possano diventare davvero.
Che cosa faremo, allora?
L’odio è contagioso, è vero. Spesso ce lo dimentichiamo. Qualcuno, da qualche altra parte no; se lo ricorda benissimo. E lo dosa, sapientemente, come un grande chef. E si sa quanti numerosi siano gli italiani a cui piace stare ai fornelli. Peccato che la torta, prima o poi, potrebbe bruciarsi nel forno.
Siamo alla deriva, è evidente. Forse ci siamo già dimenticati quello che è successo a Parma il 29 settembre 2008 al giovane ghanese Emmanuel Bonsu Foster? E lì non si trattava certo di celerini sbattuti in mezzo alla guerriglia. Erano vigili urbani.
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