Carlo Petrini, nato a Monticiano nel 1948, è stato uno dei più noti calciatori degli anni Settanta. Dalle giovanili del Genoa cominciò la sua avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: giocò nel Milan, Torino, Varese, Catanzaro, Ternana, Roma, Verona, Cesena e approdò infine al Bologna nel 1979-80. Nello stesso 1980 risultò implicato nello scandalo del calcio scommesse e venne condannato con una pesante squalifica. Solo dopo l’amnistia concessa dalla FIGC nel 1982, grazie alla vittoria dell’ Italia ai mondiali di Spagna, tornò a giocare in alcune squadre di Serie C e D. Colpito da una malattia collegata con l’abuso di doping cui, come calciatore, era stato sottoposto, ha deciso di raccontare i retroscena di questo sport ne Nel fango del dio pallone (2000). Ha scritto inoltre Il calciatore suicidato La morte senza verità del centrocampista Donato Bergamini (2001), I pallonari Zone grigie, fondi neri e luci rosse: vent’anni di calcio all’italiana (2003), Senza maglia e senza bandiera Storie pallonare di ieri e di oggi (2004), Scudetti dopati La Juventus 1994-98: flebo e trofei (2005), Le corna del Diavolo. Il Milan di Berlusconi (2006); Calcio nei coglioni Porcate, imbrogli e fregnacce: cronache pallonare senza censura (2007), tutti pubblicati dalla Kaos Edizioni. Nel 2006 Petrini ha aderito, insieme ad altri ex calciatori, all’ “Associazione Vittime del Doping” fondata dai familiari di Bruno Beatrice, centrocampista della Fiorentina, morto di leucemia nel 1987. Inoltre, l’attore Alessandro Castellucci ha trasportato la vicenda biografica di Nel fango del dio pallone in teatro e il regista Gian Claudio Guiducci ha dedicato alla vita di Carlo Petrini il film documentario Centravanti nato.

Nel libro Nel fango del dio pallone parla “di punture prima delle partite, dell’energia bestiale che ne derivava.....”, della “bava verdina che cominciò a schiumarmi dalla bocca verso la fine della partita” e diceva di sentirsi a volte “un gigante con la testa che toccava il soffitto alto almeno 3 metri”. Ci racconta alcuni metodi che usavate per superare l’antidoping?

Superare i controlli antidoping era molto facile. Il massaggiatore preparava nell’accappatoio, in corrispondenza della tasca esterna, una tasca interna perfettamente coincidente.

Tale tasca aveva un buco collegato col beccuccio di una peretta contenete dell’urina pulita ed il gioco era fatto: bastava una leggera pressione sulla peretta e l’urina versata nelle provette per l’esame antidoping era pulitissima. Inoltre non ho mai visto un dottore che fosse venuto davanti a noi a controllarci.

Come riuscivate a mascherare l’uso di queste sostanze di fronte alla famiglia?

Queste vicende erano difficilmente raccontabili in famiglia anche perché il primo insegnamento da rispettare è l’omertà: tutto quello che succede all’interno di uno spogliatoio deve restare lì dentro. Sono pochi i calciatori che raccontano cose importanti relativi a periodi della loro vita riguardanti i trascorsi calcistici.

I ferri del mestiere è il titolo di questa rubrica. Quali ferri del mestiere deve possedere un calciatore pulito oggi?

I loro ferri del mestiere di un calciatore sono la proprietà e la cura del proprio corpo. Oggi se uno ha un infortunio, viene curato per essere recuperato il più fretta possibile ed essere pronto per giocare la domenica successiva senza pensare alle conseguenze che può avere il fisico a distanza di anni. L’importante è che quella domenica lui sia in campo nonostante tutto.

Questo è il ferro del mestiere che un giocatore deve avere, la capacità di dire: “No, signori, ho bisogno del tempo necessario per guarire.”

Altro tema scottante affrontato nel libro “Senza maglia e senza bandiera: storie pallonare di ieri e di oggi” è l’omosessualità nel mondo del calcio. Ci racconta qualche vicenda?

La vicenda è quella che ho descritto nel libro quando sorpresi negli spogliatoi un allenatore e un terzino che si stavano amorosamente confortando. Questo è un altro tabù che prima o poi dovrà scoppiare: dalle statistiche si dice che un 10% dei calciatori siano omosessuali. La nostra mentalità è ancora quella di pensare che il giocatore di calcio è un gran scopatore, pieno di donne. Se solo immaginassero che il loro calciatore preferito invece di andare a letto con una donna va a letto con un uomo, sai quanti cadrebbero dalla sedia!

In che periodo della sua vita si colloca temporalmente il suo primo libro “Nel fango del dio pallone”?

Penso che sia stato il momento più tragico della mia vita: era morto da poco mio figlio Diego. Non so se oggi sarei capace di scrivere con la stessa intensità “Nel fango del dio pallone”. La prima casa editrice contattata per la pubblicazione del libro fu una società veneta che però rifiutò visto i nomi illustri presenti nello stesso libro, solo la Kaos accettò la bozza che gli proposi senza togliere neanche una virgola alla bozza iniziale.

“Nel fango del dio pallone” ha fatto scalpore in quanto, raccontando i suoi trascorsi nel mondo del calcio, ha denunciato dei problemi sui quali si è di solito omertosi. In primis le partite truccate e la questione del calcio-scommesse. Può brevemente ricordarci alcuni retroscena dell’epocale scandalo del calcio-scommesse relativo alla partita Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980 e di come, una volta scoppiata la bomba del calcio-scommesse, il pomeriggio di venerdi 23 maggio 1980 il presidente juventino Boniperti e l’avvocato Chiusano la convinsero a contattare Cruciani per non farlo presentare l’indomani in aula a testimoniare ? Ci racconta anche del suo incontro a S.Siro con Cruciani?

Nel 1979 cioè circa un anno prima dello scoppio della bomba del calcio scommesse si sentiva parlare di questi eventi nel mondo del calcio.

All’inizio di gennaio il martedi prima della partita Bologna-Juventus io era a pranzo a casa di Beppe Savoldi; giunse una telefonata di Bettega il quale esplicitamente ci chiedeva di concordare la partita della domenica con un pareggio e mi ricordo che Beppe rispose che questo era possibile. Il giovedì prima della partita il ds del Bologna Riccardo Sogliano, ci avvisò che le due società si erano accordate per il pareggio. Tutto lo spogliatoio era d’accordo, e tutti del Bologna – tranne Sali e Castronaro – decisero di scommettere 50 milioni sul pareggio. La sera chiamai Massimo Cruciani e gli proposi la scommessa su Bologna-Juventus, lui all’inizio sembrava perplesso in quanto non pensava che la Juventus facesse simili accordi ma quando gli dissi che ad accordarsi erano state direttamente le due società ruppe gli indugi e accettò ben volentieri la scommessa. La sera precedente la partita a Bologna nevicò, lo stadio uno spettacolo da vedersi e nel sottopassaggio chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i fatti: mi dissero di stare tranquillo. Il primo tempo fu indecente, il pubblico ci fischiò e ci prese a pallate di neve. Nel secondo Causio fece un tiraccio da 25 metri e il nostro portiere intervenendo con superficialità si impaperò: 1-0 per la Juventus. Non esultò nessuno, neanche Causio, crebbe il nervosismo in quanto gli juventini cercarono di non rispettate più i patti. Entrai dalla panchina. Prima di un corner per noi battuto da Dossena sul secondo palo eravamo presenti io, Albinelli il nostro stopper e Bettega e mi ricordo ancora oggi visto quello che stava succedendo in campo che Bettega alzò la voce e disse “calmatevi, ci penso io a farvi pareggiare”. E su quel corner il fato volle che Brio segnò con la più classica delle autoreti e la partita praticamente fini su quell’autogol. La combine fu palese.

Nel febbraio del 1980 scoppia lo scandalo del calcio scommesse grazie alle rivelazioni di Massimo Cruciani e Alvaro Trinca, a marzo ci furono gli alcuni arresti e a maggio iniziò il processo federale diviso in due tronconi principali:

il primo riguardava le squadre di calcio Perugia, Avellino, il calciatore Paolo Rossi, il Milan e la Lazio e Cruciani e Trinca si presentarono a testimoniare e praticamente massacrarono tutti. In quella prima giornata siccome l’indomani doveva discutersi sulle partite Bologna-Juventus e Bologna-Avellino mi chiamarono Boniperti e Chiusano nel box che ciascuna squadra aveva in dotazione in via Filippetti a Milano chiedendomi di trovare Cruciani e di convincerlo a non presentarsi l’indomani a testimoniare contro la Juventus. Mi ricordo che alla fine del colloquio mi dissero “Se oggi lei da una mano a noi, noi in futuro potremmo darla a lei”.

Grazie al mio contatto a Roma Roberto riuscii a rintracciare Cruciani e ci incontrammo al cancello 5 di S.Siro alle 23, gli riferii la proposta della Juventus che lui accettò e grazie a questo incontro che la Juventus si salvò dalla sicura retrocessione.

Nel libro parla anche di una telefonata ricevuta la sera del giovedi 22 maggio 1980 all’indomani del processo contro il Bologna ricevuta dal suo amico Roberto che l’avvisava su alcune cose che poi sarebbero successe l’indomani al processo. Ci spiega in maniera più precisa l’accaduto?

Roberto, il mio amico di Roma, era anche amico di Massimo Cruciani ed Alvaro Trinca e quando mi contattò la sera del 22 maggio 1980 mi avvisò dicendomi che l’indomani, al processo Trinca, avrebbe accusato solo me cercando di salvare Beppe Savoldi. Infatti Trinca scaricò tutte le responsabilità su di me ed io, anziché parlare un italiano corretto, cominciai a parlare in romanesco, rendendomi poco credibile e sancendo di fatto la mia condanna.

Ci parla del suo incontro a fine marzo 1980 con Savoldi, Paris, Colomba e Zinetti, i quali cercarono di corromperla perché si assumesse tutte le responsabilità per l’esito della partita Bologna-Juventus?

Savoldi, Paris, Colomba e Zinetti mi dissero che se avessi accettato le loro condizioni, l’indomani mattina Manin Carabba, procuratore della Federazione, sarebbe venuto ad interrogarmi e tutto si sarebbe concluso con la mia condanna. La proposta era: “Ti garantiamo il tuo attuale ingaggio al Bologna più i premi partita per i prossimi tre anni e la Juventus ti versa 200 milioni in Svizzera se ti assumi tutte le colpe”. Chiesi del tempo per pensarci, incontrai mia moglie e mio suocero in un bar e l’indomani sera avvisai i miei compagni che non avrei accettato la loro proposta. 

I miei amici di squadra, prima di incontrare me, sicuramente avevano parlato con il Bologna e probabilmente la stessa società ne aveva discusso con la Juventus e con la Federazione.

Ne “Il calciatore suicidato: la morte senza verità di Donato Bergamini”, analizzando gli atti della magistratura, ha affrontatola morte del calciatore Bergamini trovato cadavere la sera del 18 novembre 1989 davanti alle ruote di un camion. Quali sono i punti più oscuri di questa vicenda?

Tutta la vicenda della morte di Donato Bergamini è oscura e ci mostra che può capitare, senza saperlo, di essere coinvolti in situazioni più grandi di noi, come è successo a Donato Bergamini. La vicenda in breve è questa: Bergamini in quel lontano 1989 era una promessa del calcio italiano ma scelse di restare a giocare a Cosenza. La vicenda ha inizio il 12 novembre 1989: quel giorno il Cosenza gioca a Monza, è presente allo stadio anche il padre di Donato, Domizio Bergamini e Donato alla fine della partita avvisa il padre che quella sera non rientrerà a casa e che andrà a Milano con la ragazza. La sera Donato e la ragazza si recano a Milano all’Hotel Hilton e Donato prenota due camere per la cifra di 800 mila lire.

La domanda è: perché prenota due camere? Questo è il dilemma. Ad ogni modo, di tutto quello che è successo all’hotel non so niente tranne che, a detta del padre, Donato rientrando l’indomani a casa gli dice, cosa strana, che non ha fatto l’amore con la sua ragazza. Poi la sera del 13 novembre alle 20:00 riceve a casa una telefonata che lo stravolge e siamo a 5 giorni prima della sua morte. L’indomani mattina Donato parte in ritiro con la squadra, il 18 pomeriggio è in camera in ritiro con Michele Padovano suo amico del cuore.

A questo punto al vaglio ci sono due versioni: una è quella di Padovano che afferma che entrambi erano in camera e mentre lui guardava la televisione Denis dormiva ed al suo risveglio hanno discusso sul programma trasmesso in televisione (di cosa abbiano discusso sul programma se Denis dormiva è una questione strana!!!), mentre la versione del massaggiatore Beppe Maltese, più veritiera, afferma che quando va in camera per svegliarli vede Donato davanti ad una finestra molto preoccupato e si organizza con lui per andare al cinema.

Al cinema Garden, Bergamini chiede a Beppe Maltese dove sia il bagno (domanda insolita visto che erano 4 anni che i giocatori del Cosenza andavano sempre allo stesso cinema) ed è l’ultima volta che Beppe Maltese vede Bergamnini vivo. Alcuni suoi compagni dicono di averlo visto uscire dal cinema in compagnia di due persone e da questo momento in poi tutto quello che ho scoperto viene dalle carte processuali e dal racconto della sua ex fidanzata Isabella.

Donato arriva sotto casa della ragazza con un Maserati biturbo bianco, la carica e si dirigono verso Taranto. Isabella nel racconto afferma che durante quel tragitto Donato le dice di voler andare via, di voler lasciare l’ Italia e il calcio nonostante avesse in tasca solo 800 mila lire e un assegno di 8 milioni del Cosenza cambiabile solo in Italia: troppo poco per una persona che vuole lasciare l’Italia. A questo punto si fermano in una piazzola, Donato scende dalla macchina e si butta sotto un camion Iveco Fiat carico di 136 q.li di mandarini.

Per arrivare alla conclusione Donato muore il 18 novembre 1989, il 9 gennaio 1990 i genitori fanno riesumare la salma per i controlli autoptici e dall’autopsia viene fuori che Donato presentava una frattura al bacino destro non compatibile con l’urto del camion (la frattura doveva essere a sinistra oltre agli danni non presenti che il camion doveva avergli causato). Secondo me tutto ruota nella serata all’Hilton.

Altri temi affrontati nel libro “I pallonari. Zone grige, fondi neri e luci rosse: vent’anni di calcio all’italiana” sono la farmacia della Juventus e Gea World: vicende assurte alla cronaca nazionale prima con il processo per doping alla Juventus poi con Calciopoli. E’ vero che quando cominciò a parlare di queste vicende la prendevano per matto?

Sì! Questo libro è uscito nel 2003, tre anni prima che scoppiasse lo scandalo più grande che il calcio abbia dovuto subire. Quello che scrivevo tre anni prima passando per un pazzo, nel 2006 è scoppiato come una bomba atomica.

Nel libro “ Le corna del diavolo” lei insiste sulla vera storia del Milan. Quali sono secondo lei gli elementi fondanti per capire la vera storia del Milan?

Il Milan è cambiato da quando Berlusconi ha preso la presidenza ed è cambiato anche tutto il calcio italiano che fino a quel momento era ancora uno sport. E’ cambiato il calcio, sono cambiati gli ingaggi e sono arrivate le televisioni. C’è una frase eloquente di Platinì per sottolineare la differenza tra il prima e il dopo: “Bisogna tornare a giocare a pallone”.

 

Nello stesso libro parla di un suo concittadino, Luciano Moggi: ci racconta qualche retroscena su di lui?

Oggi Moggi é fuori dal calcio e credo che la cosa che gli manca di più di questo mondo non sono tanto i soldi ma il potere di decidere di tutto e di tutti, di trovare il posto di lavoro alla figlia del giornalista amico oppure di fare regali a giornalisti tipo Cucci, Sposini che gli leccavano il culo continuamente.

Pensa che in giro ci siano altri Petrini?

Ad esempio Arcadio Spinozzi che nel film “Centravanti nato” conferma la combine riguardo Bologna-Juventus.

Penso purtroppo che di Petrini ce ne sia uno solo, visto che gli altri sembra quasi si vergognino a raccontare le vicende di quegli anni, nonostante tutte le morti che ci sono state. Una considerazione: con quale cognizione di causa Borgonovo e Signorini possono dire con certezza che il calcio non é la causa delle loro malattia? Basterebbe che qualche dottore abbia la coscienza di raccontare i prodotti dati a questi calciatori e forse un giorno si scoprirà la causa della malattia.

Qual è l’atteggiamento del mondo del calcio nei suoi confronti?

Il calcio cerca di dimenticarmi in tutti i modi, cerca di non parlare di me e dei miei libri. Se si parlasse un pò più di doping oggi almeno i ragazzi che si presentano a fare sport per la prima volta saprebbero veramente a quali rischi e pericoli vanno incontro.

Nella sua carriera calcistica ha giocato con molti giocatori come Bruno Beatrice, Rino Gritti, Giuliano Taccola, Giorgio Rognoni, i cui nomi sono associati all’inchiesta di Guariniello legati alle morti sospette nel calcio. A quali è rimasto più legato?

Forse ai giocatori Beatrice e Rognoni, con cui ho giocato due anni a Cesena. Ho saputo della loro morte al rientro in Italia per l’interrogatorio che feci nel novembre nel 98 con Guariniello. Quelli sono stati anche i momenti in cui i miei danni fisici si sono aggravati: oggi questa malattia che mi ha ridotto alla cecità ed inoltre sono 42 mesi che faccio chemioterapia per il mio tumore alla testa.