La collana Verdenero di Edizioni Ambiente ha esordito ormai un anno e mezzo fa - era il maggio 2007 - per raccontare storie di ecomafia. E così a lungo ha fatto, attraverso gli strumenti della narrativa messi a disposizione da molti autori del panorama nazionale italiano, come Giancarlo De Cataldo, Wu Ming, Simona Vinci, Loriano Macchiavelli o Eraldo Baldini. Sebbene molti dei volumi giù usciti siano testi di pregio, ognuno dei quali affronta una specifica tematica riconducibile all'argomento che sottende la collana, quello appena pubblicato e firmato da Carlo Lucarelli, Navi a perdere, è eccezionale. Eccezionale per diverse ragioni: innanzittutto abbandona la fiction e racconta una storia vera, quella delle "navi dei veleni"; è chirurgico nel suo racconto, preciso, talmente asettico da farla annusare, la sporcizia di cui parla; e dimostra come, abbandonando qualsiasi proposito dietrologico, non si possa negare che determinate vicende ce l'hanno, un retroterra oscuro.
"Protagonista" del libro è la Jolly Rosso, una motovane da carico che appartiene alla Ignazio Messico & Co e che nel 1988 si era guadagnata una trista fama: andare a riprendersi i 9.535 bidoni contenenti sostanze tossiche - vale a dire la diossina di Seveso - buttati sulla costa libica dopo aver girato mezzo mondo ed essere stati respinti dai governi locali. Poi, un anno più tardi, cambia nome, la nave, solo Rosso, e ricomincia le sue traversate pur non riuscendo a liberarsi del ricordo del carico trasportato dalla Libia a La Spezia. Infine, il 14 dicembre 1990, un allarme del comandante annuncia che la nave sta affondando: recuperato l'equipaggio, però, l'imbarcazione non va giù, si insabbia sui fondali bassi di Formiciche, in provincia di Catanzaro.
La storia che segue potrebbe richiamare alla memoria quella di molte altre navi, colate a picco nelle acque più profonde del globo senza che a volte fosse lanciato nemmeno un sos. Accade nel 1985 alla motonave Nicos I, nel 1986 alla Mikigan, nel 1987 alla Rigel, nel 1988 alla Four I, nel 1989 alla Anni, alla Marco Polo nel 1993 o ancora alla Korabi Durres pochi mesi più tardi. Per tutte il sospetto è che il naufragio sia doloso e che lo scopo sia duplice: da un lato riscuotere i risarcimenti delle assicurazioni e dall'altro far sparire per sempre carichi nocivi, non denunciati e mai visti (né segnalati) da controllori compiacenti.
Lucarelli ripercorre così, quasi diventasse la metafora di una situazione ben più generalizzata, le indagini per far luce sulla vicenda della ex Jolly Rosso. E ci si avventura in una specie di terra di nessuno: muore un capitano di corvetta, il comandante della capitaneria di porto di Reggio Calabria, Natale De Grazia, un "Uomo Che Cerca" - lo definisce lo scrittore emiliano - e che dava fastidio per questo; si rinvengono bidoni persi da chissà chi che portano con sé tracce radioattive in percentuali molto più alte del normale; si certificano falle negli scafi mai esistite o comunque mai viste a occhio nudo; ci si imbatte in faccendieri come Giorgio Comerio nella cui abitazione vengono rivenuti progetti per la costruzione di telemine - missili subacquei guidati via satellite - e di siluri penetratori, con cui infossare nei fondali marini rifiuti tossici e nucleari.
Ma ci si imbatte anche in molto altro: indagini di più procure, inchieste parlamentari, linciaggi antiambietalisti, intermediari di cosa nostra. Insomma, il libro di Carlo Lucarelli la racconta ad ampio spettro, la storia della ecomafia. E rende chiaro un concetto: chi tocca il traffico dei rifiuti muore. Lo sanno i familiari di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Lo sanno le popolazioni somale - ma anche nigeriane, eritree, libanesi, sudamericane o dell'Europa orientale - che continuano a soccombere alle conseguenze dello smaltimento illegale dei rifiuti. E lo sa anche il già citato De Grazia. Sulla cui morte - inserita in uno scenario avverso più esteso - racconta l'autore:
Lo diceva il Presidente Ciampi nelle motivazioni della medaglia d'oro al comandante De Grazia, "nonostante pressioni e atteggiamenti ostili". Lo dicono anche il sostituto procuratore Francesco Neri e il procuratore Nicola Maria Pace. Quando vanno a Brescia a parlare con il colonnello Martini, della Forestale, si accorgono che c'è un camper, sempre fermo da quelle parti, sempre lo stesso. Dentro, riescono a vederla, c'è una telecamera che li sta filmando. E quando vanno a mangiare al ristorante ci sono strani personaggi che li osservano. E il sostituto procuratore Domenico Porcelli, che collabora con le indagini, trova una microspia nel suo ufficio. E gli scatoloni con gli atti delle varie inchieste, che giacciono negli archivi, sembrano manomessi e poi, quando si cercano certi documenti in originale, non si trovano più. E il sostituto procuratore Pace che viene avvicinato da un agente del Mossad che lo invita a proseguire le indagini. E ci sono notizie che un altro servizio segreto, quello iraniano, si sta interessando, ma questa volta nel senso contrario, cioè perché le indagini non proseguano. E allora il maresciallo Moschitta, che fa parte del pool di investigatori della Procura di Reggio Calabria, arriva alla conclusione che lo scenario che si sta aprendo è "più grande di quello che potevamo pensare, che toccavamo con mano attraverso la documentazione della quale eravamo venuti in possesso", e lo stesso racconta proprio con queste parole alla Commissione parlamentare d'inchiesta.
Navi a perdere di Carlo Lucarelli (Collana Verdenero - Storie di ecomafia, Edizioni Ambiente, 2008) — 136 pagine — € 10,00 — ISBN 9788889014844
(Questo testo è rilasciato con licenza Creative Commons.)
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