Il corridoio è un campo minato di oggettistica contundente e pericolosa. Fortuna vuole che so muovermi come un equilibrista russo.
Scarto l’armadio, la cesta dei panni sporchi, il tavolino con gli Swarovski di mia madre.
Chiudo gli occhi per impreziosire la mia sfida; un nero più vivido mi accoglie, rendendomi più sensibile al rumore cauto dei miei passi, soffocati dai calzini di cotone mista lana.
Sorrido.
La maniglia del frigo.
La tasto e la scorro fino alla parte più comoda dell’impugnatura.
Apro occhi e portellone.
È l’alba dei miei pensieri.
Il neon mi radiografa le retine e mi costringe gli occhi in una smorfia western mentre cerco, inutilmente, la mia dose di Heineken.
La birra è finita, con urlo sordo del mio stomaco che se solo avesse la parola altro che Tardelli.
Mi giro il polso il faccia, sono le nove.
La cucina è un proscenio buio di un teatro vuoto. La scena è illuminata a malapena dal fioco fascio simil-arancione che il frigo proietta stanco e ronzante.
Il tavolo con i residui della buccia di una mela malamente deturpata da mani incapaci, una sedia su cui dorme ronfante Camilla, la gatta di mia madre, e l’orologio quadrato della cucina che segna le dieci.
Sono le dieci?
Possibile che pochi metri di corridoio impongano un fuso orario?
Perplesso, a lampadarmi con il neon, mi gratto il cazzo. Eppure il mio Swatch funziona, avrà anche i suoi dodici anni, ma funziona.
Gli cambio regolarmente le pile. È un po’ l’elemento fondamentale della mia vita. L’ho avuto alla mia comunione, epoca antica di quando regalare uno Swatch era ancora il massimo, segno di prestigio ostentato.
Non è rotto. Le lancette camminano.
Accendo i dodici pollici del televisore della cucina e il televideo mi conferma che si, effettivamente sono le dieci.
L’ora legale.
L’ora legale, cazzo.
Sono due giorni che vivo un’ora indietro…
Che razza di animale a pelo corto sono diventato? Questa storia dello scrittore inizia a farmi capire che se non mi do una regolata, probabilmente, finirò per diventare definitivamente pazzo, o, al meglio, a essere divorato da un branco di lupi, che so…
Con certosina pazienza afferro il pirulino sul quadrante e aggiorno la mia ora personale.
E, come per magia, torno in sincro col mondo intero.
Mi sento meglio, sospiro.
Ma non ho la birra che vorrei. E sono le dieci, nemmeno le nove.
Se avevo qualche speranza di trovare aperto il Bar 2000 a Via Stazio, che si attarda dopo le otto per concludere le giocate delle scommesse sportive, adesso mi ritrovo con in mano un bel casino da risolvere.
Mi serve un’Heineken, e mi serve subito.
Vado in camera, infilo una maglione e la porta di casa, ritrovandomi dopo poco a trottare nel gelo della strada.
Ho un’alternativa.
La Pizzeria Gargiulo, solo che è lontanuccia.
A quest’ora passano ancora i pullman?
Nel dubbio mi ficco sotto una fermata e, seduto sulla panchina, mi stringo nel giubbotto di pelle, infilandoci dentro la faccia fino al naso. Quasi scomparendo.
Comincio a iperventilare per creare una corrente d’aria calda, modello anticiclone delle Azzorre. Non succede un gran che. In realtà mi sale solo un rutto in gola che libero a pieni polmoni.
La solitudine ci mette sempre a nostro agio.
Il quartiere dove vivo io a Napoli è un quartiere dormitorio. Un alveare di palazzi e palazzoni che si illuminano di vita familiare nelle loro lampadine a risparmio energetico.
Non c’è un bar che sopravviva alle otto e zero zero, una paninoteca, un ristorante per coppie borghesi. Niente.
Solo una pizzeria d’asporto. La Pizzeria Gargiulo.
La mia meta, il mio Grahal.
Far passare un pullman di notte in orario a Napoli, almeno dove vivo io, è un po’ come pretendere il buon gusto da Platinette.
Una cosa fuori luogo.
Rassegnato a vivere nel teatrino più divertente d’Italia mi alzo meccanicamente dalla panchina e chiedo alle mie chiappe gelate di fare un ulteriore sforzo e portarmi alla Pizzeria Gargiulo. Prometto loro che al ritorno sarebbe stato tutto più facile perché in discesa.
Sembrano abboccare e iniziano a collaborare, anche se svogliatamente.
Un quarto d’ora di bestemmie e sono sotto l’insegna sfondata della pizzeria.
Mi accoglie lo squallore di un atrio mattonellato alla bene e meglio e l’ombelico scoperto di una cassiera ultra truccata che scruta rapita un televisore fissato in alto da uno di quegli appositi bracci metallici.
C’è un video clip di una canzone napoletana, neomelodica come si suol dire dalle nostre parti.
Un ragazzo su un motorino corre con i capelli al vento e, in dissolvenza, c’è la madre che piange inginocchiata in una chiesa, avvolta da svariati rosari.
“Buona sera”, faccio io educato come sempre.
Lei sembra come svegliata da un incantesimo e, sbattendo gli occhi, in fretta e furia si ricompone, guadagnano la corretta postura da brava cassiera.
“Ciao, dimmi”, mi fa con un sorriso di cui, sinceramente, non sentivo il bisogno visto i risultati. Sembrava che Dio i denti, invece di averglieli sistemati come a tutti i cristiani, glieli avesse tirati nella bocca mentre era a una festa ubriaco, forse bendato per una scommessa con degli amici.
“Mi fai due Heineken?”
“Piccole o medie?”
“Le più grandi che hai”
“Ho al massimo le medie, vanno bene lo stesso?”
A questo punto va bene anche il gasolio, basta che non apri più quel crimine di guerra.
“Si”, concludo rassegnato.
“Sei e cinquanta” - batte lei sulla cassa, facendo evaporare uno scontrino che strappa e mi consegna “Alì! Il signore ha pagato due Heineken!” urla.
Vado da Alì che assomiglia ad Aladin, quello del cartone.
Sta per porgermi la bustina inumidita dalle due bottiglie quando lo freddo con un cenno della mano.
“Mi fai anche una quattro formaggi? Però senza il gorgonzola, se si può…” accenno con un po’ di senso di colpo alla cassiera. Mi sento come quei bimbi che vedono il lecca lecca in fila alla cassa al supermercato e rompono il cazzo alla mamma che lo vogliono, mentre quella sta combattendo con la cassetta d’acqua minerale e una scatola di Sofficini che si è rotta su un lato…
Il gelo accoglie la mia richiesta.
Sergio Leone avrebbe chiamato Morricone per farci mettere sotto due note a un momento del genere.
Lo sguardo della cassiera, mangiato dal trucco, incrocia quello di Alì, per poi posarsi sull’orologio dozzinale che campeggia di fronte.
Lo fissa per un bel po’. Alì fa lo stesso e poi fissa lei.
Io fisso entrambi e mi verrebbe quasi voglia di dire che non fa niente, che ho cambiato idea. Che la quattro formaggi va bene anche con il gorgonzola.
Non pensavo che avrei indotto i due nel loro dubbio esistenziale più amletico mai provato.
La tensione aumenta.
La sento, si taglia col grissino. Vedo il pomo d’Adamo di Alì salire e scendere come l’ascensore di un centro commerciale affollato.
Colgo il loro sguardo d’intesa, un’intesa costretta, quasi costernata. Un’intesa impaurita.
“Va bene…” squittisce la giovane cassiera, come a dirmi: si, occhei, ma non fare pazzie, resta calmo, avrai ciò che vuoi…
Chino il capo in cenno di ringraziamento e vedo Alì sparire nel retro.
Torna in pochi minuti con il cartone della pizza stretto da entrambe le mani. Lo appoggia sul vetro che domina gli ingredienti del bancone e fa due passi indietro, come se stesse maneggiando la nitroglicerina. E che cazzo! Ma che è!
Se sapevo che per togliere ‘sto cazzo di gorgonzola dovevo farvi venire un’embolia mi prendevo una margherita!
Agguanto cartone e bustina e mi accosto alla casa per pagare la differenza.
“No, no. È offerta da noi… Vada, vada” balbetta la rimmel girl.
Sono troppo stanco per farmi problemi e domande. Ringrazio, sorrido e incalzo l’uscita, contento di andarmene da quel cazzo di posto. Ora devo solo mettermi davanti al computer e finire in tempo il racconto per Chiara Bertazzoni. Mi ha chiesto di mandarglielo entro domattina per posta elettronica e non posso perdere quest’occasione. Thriller Magazine è un portale importante per il noir italiano.
Mezz’ora dopo, nella Pizzeria Gargiulo.
Aniello e Genny entrano nella Pizzeria Gargiulo bardati nelle loro camicie su misura. Si guardano bene alle spalle per controllare che nessuno li segua o abbia intenzione di entrare.
Il più tarchiato dei due, Genny, si mette di guardia all’ingresso. L’altro, quello più smilzo, Aniello, entra deciso e si pianta davanti la cassa.
“Scusateci per il ritardo, ma siccome che il motorino ha finito la miscela e il benzinaio era chiuso, abbiamo perso tempo per rubarne un altro” esordisce così, sicuro, con i suoi occhiali da sole Carrera ancora in servizio.
La cassiera spalanca la bocca e prende aria.
Aniello continua, con un’altra emissione di fiato. Si tira fuori dalla tasca un bigliettino stropicciato e lo legge ad alta voce, come se fosse farina del suo sacco.
“Facciamo le solite due birre grandi e la quattro formaggi senza gorgonzola, grazie” e mentre ripete l’appunto alza un po’ la camicia per lasciar vedere il calcio di un’automatica infilato nella cintura Richmond.
Mezz’ora dopo, a casa mia.
Vi è mai capitato di trovare ottomila euro nel cartone di una pizza?
A me si, stasera.
Sinceramente al momento avrei preferito una pizza, perché camminando m’era venuta fame. Però con ottomila euro ho pensato che di pizze me ne posso comprare quante ne voglio.
Ho stappato la prima Heineken e ho cancellato la bozza del precedente racconto.
Ne ho iniziato un altro: questo.
Adesso che lo finisco non vedo l’ora di farlo leggere a Chiara Bertazzoni, sperando che sia abbastanza pulp la morte innocente di un pizzaiolo indiano di nome Alì e quella di una cassiera iper truccata che ama i video delle icone pop della sua sedicente città.
Magari me lo trovo pubblicato su Thriller Magazine un giorno di questi.
L'autore di questo racconto così si presenta: "Ciao ragazzi, sono Marco Marsullo, ho 23 anni e sono nato e vivente a Napoli. Studio giurisprudenza, facoltà a me inadeguata, e voglio fare lo scrittore. Ma lo voglio proprio fare fare, non fare normalmente."
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