Stiamo cercando di dimenticarla, se non addirittura di ripudiarla quell’Italia povera del dopoguerra relegata in una sorta di iconografia dell’ingenuità contadina (che non sviluppa una reale comprensione del momento storico nel quale noi affondiamo le nostre radici contemporanee) per trarne storie da camino. Anziché cercare di leggerlo, questo nostro Bel Paese, e raccontarlo con la crudezza e il realismo sincero che solo un corretto piano letterario è in grado di proporre. Roberto Santini (con A luce spenta dell’Editrice Laurum) si stacca dalla logica del gruppo, fa due passi in avanti, e lancia un sasso nello stagno della memoria. Tra i cerchi smossi in superficie il lettore riesce a cogliere immediatamente la vitalità di un mondo nascosto, dentro il quale radicano le passioni e le tensioni che oggi travalicano senza controllo per le emozioni stuzzicate dal nostro quotidiano. E la cronaca nera, sotto gli occhi di tutti, diventa il contenitore primo delle contraddizioni.
Lo stagno dentro il quale Santini getta il suo sasso è la società che ruota attorno alle campagne fiorentine degli anni cinquanta. Il sasso invece è un commissario di polizia, Falco Ventura, 37 anni, forte di una notorietà insospettata e, nonostante avesse mosso i primi passi in polizia nel corso della guerra, è libero da vincoli di coinvolgimento con il fascismo.
Il poliziotto vive con un proiettile in testa, e con il cuore pieno dei tormenti quotidiani di tutti. Gli fa compagnia il clone di se stesso che gli compare davanti agli occhi al momento del risveglio. Quest’ultima non è solo una bizzarria letteraria, la scienza ha battezzato il fenomeno autoscopia, anche se il protagonista di A luce spenta si consola vivendo questa sua anomalia come un semplice tributo per essere scampato nonostante un proiettile vagante nella sua testa.
L’indagine di Falco Ventura deve far luce sulla sparizione di due bambine e deve fare i conti con la credenza popolare secondo la quale un’entità soprannaturale, malvagia, possa essere la causa della morte di una serie di bambini, anche nel passato. L’atmosfera che circonda il caso e il ritmo serrato delle indagini è densa di vicende che inseguono il desiderio di una svolta storica, affiorato già con la fine di una guerra tutta da dimenticare.
Insomma, la Storia cammina e i suoi passi sembrano scricchiolare sulla vegetazione delle campagne e delle colline di Cadenzano e Prato. I passi della morte che va a falciare l’esistenza di qualche predestinato.
Gli odori, le architetture, una comunità paesana e gli ambienti tipici di una borghesia dell’epoca sono tutti elementi che Roberto Santini mescola insieme con equilibrio e li ridistribuisce tra le pagine di un libro scritto con uno stile essenziale e coinvolgente, senza fronzoli inutili, e senza quel “brodo” dentro cui troppo spesso sguazza tanta narrativa di tensione proposta dalla nostra editoria. Un romanzo intenso, come i sentimenti rappresentati, dove il lettore, a luce spenta, come il suo protagonista, riesce a cogliere l’ombra che gli era passata vicina e il vento dalla finestra socchiusa aveva smosso la giacca appesa accanto alla porta.
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