La Domenica del Corriere nacque l’8 gennaio 1899, in un momento estremamente delicato per la storia italiana: proprio allora tanti fatti di economia, di cultura, di politica stavano trasformando il volto della penisola. Se ne potrebbero citare tanti e tutti fondamentali per comprendere le inquietudini, le incertezze, le speranze, le illusioni degli uomini di allora. Un secolo terminava senza che tanti problemi, vecchi e nuovi, trovassero una soluzione e un altro faceva capolino all’insegna di una modernizzazione che avrebbe profondamente modificato lo stile di vita degli italiani.
Questo processo non riguardò in modo uniforme tutto il paese, dove ampie sacche di arretratezza permanevano accanto a situazioni decisamente più progredite ed in continua evoluzione. Milano cominciò ad assumere una funzione ed un ruolo economico e culturale di grande importanza, proprio in quegli anni, proponendosi come realtà fortemente caratterizzata non tanto dalla presenza di movimenti culturali particolarmente innovativi, quanto come centro organizzativo e produttivo cui gli intellettuali provenienti da tutto il paese potevano fare riferimento. Questa fisionomia si sarebbe chiarita ulteriormente nel primo dopoguerra, quando parecchie imprese confermarono la loro vocazione a coniugare capitale e cultura.
Luigi Albertini, direttore amministrativo, coeditore e dal 13 luglio 1900 direttore del “Corriere della Sera”, cosciente delle modificazioni in atto, volle tentare la trasformazione di un’azienda, che fino a quel momento aveva avuto un carattere poco più che artigianale, in un’industria vera e propria: un’operazione che s’inseriva nel quadro di una riorganizzazione che stava interessando buona parte dell’economia italiana e che favorì, in particolare, alcuni settori industriali.
L’esperienza maturata nel mondo anglo-sassone lo convinse che la strategia più efficace sarebbe stata quella di aumentare le tirature proponendo prodotti diversi, capaci di soddisfare una domanda ormai composita ed in continua crescita, grazie alla progressiva alfabetizzazione di fasce sempre più ampie di popolazione. Accanto ai lettori tradizionali se n’erano, infatti, aggiunti altri che non si riconoscevano in ciò che il mercato aveva proposto fino a quel momento e i cui bisogni culturali variavano secondo l’età, il sesso, il gruppo sociale di appartenenza, e così via.
Un quotidiano come “Il Corriere della Sera”, che aveva già un pubblico consolidato, poteva trarre vantaggio da questa nuova situazione, non tanto sul piano di un ripensamento interno, quanto su quello dell’ampliamento dell’offerta, presentando sul mercato una serie di proposte editoriali, volte ad attrarre nella propria orbita anche il lettore meno preparato e che alla lettura chiedeva, spesso tutto insieme, informazione, divertimento, svago, coinvolgimento. Il risultato di questa operazione fu la nascita della “Domenica del Corriere”, il fortunato supplemento illustrato del “Corriere della Sera”, inviato gratuitamente agli abbonati e presente in edicola per i lettori occasionali ad un prezzo modico (10 centesimi a copia).
L’impresa, come ricorda Glauco Licata (Glauco Licata, Storia del “Corriere della Sera”, Milano, Rizzoli, 1976), mosse i primi passi a fatica: pochi credevano che sarebbe decollata. Uno dei primi ad avere fiducia fu Ugo Ojetti, che si propose come curatore di una rubrica dedicata a “uomini, fatti, personaggi”. Ma, a parte la diffidenza con la quale si guardava a questo progetto, vi furono difficoltà concrete da superare: la concessionaria della pubblicità dei principali giornali italiani, la Haasenstein & Voegler, nutriva qualche dubbio e, ironia della sorte, la rotativa continuava ad incepparsi. Ciononostante il varo della rivista avvenne senza ritardo. La direzione fu affidata ad Attilio Centelli che, già collaboratore del “Corriere” dal 1897, poteva vantare una lunga esperienza nel campo del giornalismo.
La formula scelta per la neonata rivista fu semplice, ma efficace: molte immagini (indimenticabili le copertine di Achille Beltrame), utilizzate sia per commentare l’attualità, sia per proporre quanto di strano poteva esservi nel mondo (animali, fenomeni, usi e costumi di altri popoli, ecc.), e questo soprattutto quando divenne comune l’uso della macchina fotografica; notizie offerte con un linguaggio poco elaborato ed in maniera sintetica, una scelta quest’ultima dettata in parte dall’esigenza di parlare ad un pubblico che ancora faceva fatica ad accostarsi al quotidiano ed in parte dalla necessità di impiegare la parola scritta principalmente come integrazione o complemento delle immagini (non va trascurato che telegrafo prima e telefono poi contribuirono, nella trasmissione delle notizie, a semplificare la sintassi del periodo); numerose rubriche di consigli pratici (moda, arredamento, cucina) che, inevitabilmente, avvicinavano la rivista alla vita quotidiana delle famiglie italiane e che, altrettanto inevitabilmente, finivano per proporre gli argomenti trattati con uno stile semplice, quasi vicino al parlato. Non mancarono veri e propri momenti di svago e gioco con barzellette, vignette umoristiche, cruciverba, passatempi. Fondamentali furono anche le scelte letterarie, la cui importanza si coglie facilmente sfogliando quelle pagine: subito dopo la tavola di Beltrame, che apriva il fascicolo, il lettore s’imbatteva, infatti, non nelle notizie d’attualità, ma nel romanzo a puntate e poi il diletto continuava con le novelle.
Il pubblico, principalmente piccolo borghese (impiegati e artigiani), fu inoltre coinvolto in vari modi. Fin dal primo numero apparve chiaro che il lettore sarebbe stato uno dei protagonisti: tutti avrebbero potuto collaborare, o meglio il “Signor Tutti” sarebbe dovuto diventare parte integrante della redazione, partecipando così direttamente all’uscita del settimanale.
“Un giornale – si legge nel primo numero – non può prosperare se pensato e composto tutto quanto nell’intimità di una redazione, da taluni pochi individui… Un giornale, specialmente se illustrato, deve risultare specchio, riflesso della multiforme complessa vita pubblica. Domandiamo quindi la collaborazione dei nostri lettori; desideriamo che il Signor Tutti sia il nostro principale redattore, che una continua corrente spirituale unisca il giornale al pubblico, il pubblico al giornale” (in “La Domenica del Corriere”, 8 gennaio 1899, n. 1).
In linea con questo programma, furono indetti concorsi per dilettanti (letterati, fotografi, musicisti, ecc.) e si chiese (anche su compenso) di inviare barzellette, curiosità, vignette, ecc.
Le ragguardevoli tirature che “La Domenica del Corriere” raggiunse col tempo, due milioni di copie nel 1936, secondo quanto riferisce Franca Mariani Ciampicacigli (Realtà romanzesca nella “Domenica del Corriere” 1922-1941, Ravenna, Longo, 1976), sono una testimonianza sensibile del gradimento incontrato. Il pubblico, tuttavia, non era uniformemente distribuito sul territorio nazionale. La maggior parte degli acquirenti si trovava al Nord della penisola, mentre al Sud la distribuzione era scarsa. Alcune migliaia di copie prendevano la via delle Americhe ed erano destinate agli emigranti.
Nel 1915 Attilio Centelli morì e al suo posto fu nominato Ferdinando D’Amora. Il nuovo direttore, già redattore della “Domenica del Corriere”, fu instancabile ed ebbe il merito di essere riuscito ad assicurare, anche durante gli anni della guerra, tra mille difficoltà, l’uscita del settimanale, ricoprendo il ruolo di redattore unico.
Il vuoto lasciato dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1929, fu colmato da Eligio Possenti (critico drammatico e autore di alcune commedie e di due libretti d’opera), che ricoprì questa carica fino al 1943.
Il mondo visto attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, tante immagini e poche parole: questo in sintesi il segreto della “Domenica del Corriere”, un po’ di tutto, ma con estrema brevità in modo da non annoiare e da spingere anzi il lettore alla pagina successiva per scoprire quale curiosità vi si celasse. Non vi era argomento che non vi trovasse trattazione: dalle curiosità scientifiche, ampiamente presenti, ai più importanti monumenti italiani, dalle stranezze degli uomini a quelle degli animali, dalla moda ai grandi personaggi viventi o del passato, e così via. Fu in questo modo che la “Domenica del Corriere” riuscì a conquistare un’importante fetta di pubblico e a vincere la sua scommessa. Ma il nuovo clima politico, determinato dall’avvento del fascismo, doveva modificarne, anche se in parte, il punto di vista da cui guardare alla realtà: un adattamento alla nuova situazione fu inevitabile, anche perché le note vicende in cui fu coinvolto “Il Corriere della Sera”, non potevano non avere un riflesso su tutta l’azienda. Più che mai evidenti soprattutto negli anni Trenta i segni di un regime che, ormai ben saldo al potere, poteva dedicarsi alla ricerca di un consenso ampio. “La Domenica del Corriere” vi contribuì in vari modi, sia attraverso le immagini, pensate per esaltare le opere del fascismo o il duce stesso, sia attraverso un linguaggio che si fece via via più retorico e celebrativo. Inoltre, dal 1935 in poi, sembra di assistere ad una vera e propria militarizzazione della rivista: non solo perché ampio spazio fu occupato dalle guerre in atto (Etiopia, Spagna), ma anche perché si proposero con sempre maggiore insistenza fotografie e articoli sulle nuove armi, sui diversi aspetti dell’esercito. L’adeguamento, tuttavia, non fu totale, in realtà tra le pieghe di tante rubriche è facile riscontrare voci dissonanti, così come dissonante era buona parte della letteratura.
I direttori che si avvicendarono alla guida della “Domenica del Corriere”, si sforzarono di offrire una pagina letteraria che fosse in sintonia con i gusti e con le aspirazioni del pubblico cui faceva riferimento. I criteri adottati non furono uniformi per tutto l’arco temporale esaminato, e non poteva essere diversamente: venti lunghi anni alle prese con un regime, come quello fascista, avrebbero lasciato un segno profondo nella società italiana, una società che d’altra parte cominciava ad evidenziare i sintomi di una trasformazione verso una progressiva democratizzazione della fruizione dei beni culturali, verso cioè una fruizione sempre più ampia.
Una notevole varietà di temi, personaggi e soluzioni narrative caratterizzò le novelle, una produzione abbastanza copiosa, in cui è la vita di tutti i giorni ad avere il ruolo di protagonista: professori, scrittori, studentesse, impiegati, “maestrine”, mogli che fuggono, o cercano di farlo, scapoli infelici, uomini e donne che si muovono all’interno di storie più o meno edificanti, a volte raccontate con bonaria ironia, altre volte con la gravità d’obbligo per drammi che riflettono la quotidianità, drammi che tutti avrebbero potuto vivere da protagonisti, da comparse o a cui avrebbero potuto assistere da spettatori. Fu uno spazio sostanzialmente riservato agli scrittori di casa nostra, fecero eccezione la serie “Novelle Celebri” (1931-34), in cui furono gli scrittori stranieri dell’800 a fare la parte del leone, e pochi altri racconti. Collaborarono alla costruzione di questa pagina penne più o meno importanti del panorama letterario italiano, soprattutto negli anni Trenta, accanto ad altre del tutto sconosciute. In tal modo il Signor Tutti entrava a far parte della famiglia della “Domenica del Corriere” e vi portava le proprie emozioni, badando magari più all’intreccio che ai valori formali, ma forse proprio per questo rendendo la lettura più immediata. L’apertura verso un’esperienza come questa distinse nettamente la “Domenica del Corriere” da altri periodici che, pur cercando di parlare ad una platea ampia, erano legati ad un pubblico medio, medio-alto borghese, caratterizzato da esigenze estetiche di spessore diverso. “La Lettura”, nata anch’essa per iniziativa di L. Albertini, nell’ambito dello stesso progetto d’ampliamento dell’offerta, - e presentata nella “Domenica del Corriere” come una sorella maggiore “non troppo diversa negli intendimenti e nello scopo: divertire e istruire il pubblico” (“La Lettura”, in “La Domenica Del Corriere”, 16 dicembre 1900, n. 50), o meglio, come si legge più avanti, il “gran pubblico”, - aprì le proprie porte solo ad autori noti, o comunque a scrittori che avessero già qualche pubblicazione da vantare. Fu insomma una rivista che, pur avendo l’ambizione di parlare a molti, di fatto, ebbe una circolazione limitata a lettori abbastanza colti.
Meritano particolare attenzione i romanzi a puntate che la “Domenica del Corriere” scelse per il proprio pubblico e che furono il frutto di un’attenta valutazione delle tendenze del mercato. L’immagine complessiva che risulta dalla loro lettura, è suggestiva e, nello stesso tempo, estremamente significativa: il mondo stava cambiando e con esso gli interessi dei lettori. Nuovi messaggi giungevano attraverso la pubblicità, il teatro di varietà, il cinema, la radio, lo sport. Gradualmente il poliziesco prese il posto del romanzo d’avventura, anche se quest’ultimo continuò ad essere apprezzato e pubblicato. Nella pagina letteraria della “Domenica del Corriere”, durante il ventennio compreso tra le due guerre, era ancora possibile trovare storie come quelle della primula Rossa (Baronessa Orczy, La lega della Primula rossa, in “la Domenica del Corriere”, dal 24-31 ottobre 1920 al 27 febbraio-6 marzo 1921), quella di un povero ebreo che spende gran parte della sua vita nella ricerca della vendetta nei confronti di coloro che hanno causato, direttamente o indirettamente, la morte del figlio nella Milano del Cinquecento (G. Bernardi, Il veggente, in “La Domenica del Corriere”, dal 26 gennaio al 31 maggio 1936), quella di Ghino di tacco che rievoca le imprese di un guerriero del 1200 (R. Balsamo Crivelli, Ghino di Tacco, in “La Domenica del Corriere”, dal 21 agosto al 30 ottobre-5 novembre 1938), e l’elenco potrebbe continuare con un gran numero di vicende d’amore e morte, ambientate in luoghi più o meno esotici e lontani, e di racconti che si avvicinano al feuilleton: cambiano personaggi, ambienti e luoghi, in cui accadono i fatti, restano immutati i meccanismi (agnizioni, figli segreti, amori contrastati, ecc.).
Il destino di questi romanzi era, tuttavia, segnato: avventure, come quelle di cui abbiamo parlato, finirono, in breve tempo, per essere soppiantate da un altro genere, quello poliziesco, che fu la vera novità di quegli anni. Nel complesso, tra il 1920 ed il 1940, ben il 67% delle opere pubblicate dalla “Domenica del Corriere” era costituita da gialli, con una netta prevalenza negli anni Trenta (quasi il 75%). Queste percentuali testimoniano una vivacità anteriore alla famosa collana della Mondadori, una vivacità che, forse, ne favorì l’uscita. L’intraprendente editore milanese poteva, infatti, contare su un pubblico già ampiamente orientato verso questa letteratura da iniziative come quelle che avevano portato il poliziesco sul palcoscenico (Paolo Quazzolo, Delitti in palcoscenico. La commedia italiana dal 1927 al 1954, Udine, Campanotto, 2000), o che stavano interessando il mondo dei libri con la pubblicazione sempre più massiccia di traduzioni. A questo proposito, il posto che spetta alla “Domenica del Corriere” fu di primo piano. Il catalogo della Mondadori ne è una testimonianza palese: vi trovarono collocazione autori che avevano già collaborato con questa rivista e con la quale continuavano ad avere un rapporto. Ricordiamo per la collana “I libri gialli”: Eden Phillpotts, Phillips Hoppeheim, John Buchan (diplomatico scozzese, editore, giornalista e romanziere), Maurice Renard, S. A. Steeman (che, insieme a Simenon, scardinò le regole del poliziesco inglese) e, non ultimo per importanza, Alessandro Varaldo, di cui venne ripubblicato Casco d’oro nel 1936. Nella collana economica, oltre a quelli già citati, furono inseriti A. Conan Doyle, J. S. Fletcher (che ebbe il merito di aver spostato l’ambientazione dalle grandi città alla provincia), Sax Rohmer (pseudonimo di Arthur Enry Sarsfild Ward), Jesse Templeton.
Negli anni Trenta le case editrici impegnate nella pubblicazione di polizieschi aumentarono velocemente e anche nei loro cataloghi non mancarono autori da tempo noti al pubblico della “Domenica del Corriere”. Degno di nota il caso del “Romanzo Mensile” (1903-1944). Questo periodico, edito dal “Corriere della Sera” come la “Domenica del Corriere”, aprì le proprie porte al poliziesco fin dal primo anno di vita. Il rapporto molto stretto che si instaurò tra queste due riviste appare subito evidente: vi trovarono, infatti, posto le stesse firme, e non era raro che venissero riproposti gli stessi romanzi. Il trampolino di lancio era rappresentato dalla “Domenica del Corriere”: autori e libri passavano generalmente prima in quest’ultima e solo dopo approdavano nel periodico specificamente destinato alla letteratura, e che si può, ragionevolmente, pensare rivolto ad un’altra fascia di pubblico.
Tutto ciò offre oggi un quadro ricco di spunti di riflessione su quello che allora fu il fenomeno “giallo”, le cui reali dimensioni sono ancora tutte da stabilire, così come una cronologia attendibile. Le difficoltà sorgono innanzi tutto dalla quantità di materiale in circolazione, cui, però, non corrispose, soprattutto per gli anni Venti, un’adeguata conservazione. Così risulta molto difficile trovare nelle biblioteche italiane o straniere le pubblicazioni in lingua originale. Tutto ciò limita la nostra conoscenza ad alcuni aspetti: possediamo molte informazioni sugli autori più importanti e siamo in grado di ripercorrere il sentiero tracciato da questo genere nelle sue manifestazioni più originali, ma sappiamo ancora troppo poco su tutta quella schiera di scrittori che, purtroppo, il tempo ha coperto con il velo dell’oblio. Quando, poi, dopo lunghe ricerche (effettuate con tutti i mezzi che la tecnologia mette a disposizione), si ha la fortuna di imbattersi in qualche volume, non è raro che sia escluso dal prestito. Per tutti questi motivi l’analisi dei romanzi pubblicati dalla “Domenica del Corriere”, è di fondamentale importanza, perché consente di ricostruire la storia della diffusione e dell’evoluzione del poliziesco: anche nella serialità è presente un aspetto dinamico e, sia pure per gradi, le modificazioni interne sono tangibili.
(in PROBLEMI, gennaio-agosto 2001, nn. 119/120)
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