Strisciano e sgattaiolano i personaggi di questo romanzo, si muovono furtivi, si accoppiano in anfratti bui, tramano nei corridoi di un palazzo tetro, i cui sotterranei inesplorati sprofondano come radici nella terra nera, tra miriadi di larve. In occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, ho incontrato Claudio Morandini per Thrillermagazine.
Ciao Claudio, benvenuto su Thriller Magazine. La prima domanda che ti pongo è "Le larve": perché?
Le larve sono quelle di maggiolino, o melolontino, che tornano a più riprese nel romanzo, come una sorta di simbolo di non so bene cosa – sono creature incompiute, nascoste, voraci, ostinate. Larve, per metafora e etimologia, sono anche i personaggi, per come si muovono – ma di questo sono stato cosciente solo in un secondo tempo. Larva si dice anche di persone irrisolte, deboli, apatiche, e può avere una connotazione morale a cui non ho pensato, ma che non escludo.
Il paesaggio ha molta importanza nella vicenda. A tratti sembra interagire con i personaggi…
È vero, è un paesaggio che sembra vivere di vita propria. Gli esterni sono visti con gli occhi della memoria: sono come li vedevo da bambino quando li attraversavo per andare in vacanza, immensi, misteriosi. Gli interni sono quelli dei miei sogni: corridoi, stanze, altre stanze, altre ancora… Mi piace far muovere i miei personaggi in questi ambienti, in esplorazione: non accade nulla, ma potrebbe accadere di tutto.
Il dipinto del capofamiglia riveste un ruolo predominante. Inquieta perché mostra la cattiveria di chi ritrae. Mi ricorda in qualche modo il ritratto di Dorian Gray. Cosa ne pensi?
Il ritratto è legato al tema del doppio, che attraversa tutto il romanzo e che è probabilmente una delle ossessioni più forti e persistenti della letteratura fantastica. Quindi sì, c'è Wilde, ma ci sono anche Hoffmann e Poe dietro quel ritratto – un'idea non certo di prima mano, su cui ho insistito in vari momenti della storia proprio per la sua "classicità", per l'appartenenza al buon vecchio trovarobato gotico. Più concretamente, per quel dipinto del nonno mi sono ispirato a un sorprendente autoritratto di Savinio del 1936, conservato alla GAM di Torino: un autoritratto con il volto di gufo, lo sguardo acuminato, una manona in primo piano…
Collegami per atmosfere, sensazioni o colori, un film e un libro a "Le larve".
Mmm, sul film sono indeciso. Un lettore mi ha detto che il mio libro gli ha ricordato il Novecento di Bertolucci, però con Lynch come regista. Piuttosto, penso allo splendido The Innocents, di Jack Clayton, dal Giro di vite di Henry James. Se penso a un libro, penso invece a Tommaso Landolfi, al suo Racconto d'autunno: anche lì, una casa, presenze spettrali, trabocchi di sentimento, un vagare tra le cose che sembra senza meta, una scrittura senza tempo… O al Diario di Géza Csáth, per via di quell'io narrante così volitivo, cinico, per quella sua superiorità intellettuale che trascolora nella follia, per la volontà di potenza che si mescola con l’ossessione sessuale.
Leggendo "Le larve" non ho potuto fare a meno di notare similitudini con "Nora e le ombre", il tuo primo romanzo. La casa infestata da presenze che turbano, un personaggio femminile dalla sensibilità straordinaria tormentato e isolato in una stanza…
In effetti, ho cominciato a scrivere le prime pagine del secondo quando ancora non avevo terminato il primo, e la stesura de Le larve ha coinciso con il lungo lavoro di revisione di "Nora" per la pubblicazione. Così, si può dire che ho mantenuto gli stessi ambienti per immaginarvi lo sviluppo di un'altra storia. Ne Le larve il palazzo è ancora più astratto, indefinito nell'architettura; inoltre, si sdoppia e si moltiplica nel sottosuolo. Attorno, le stesse campagne che si perdono a vista d'occhio nella parte ottocentesca di Nora e le ombre, e che su di me, che vivo circondato dalle montagne, esercitano un fascino irresistibile. Aggiungi che diversi sensi di "ombre" e "larve" combaciano. Ed è anche vero che ne Le larve i personaggi, pur non essendo revenant, o spettri, si comportano come tali: scivolano lungo i muri, appaiono e scompaiono, si muovono come in uno stato di ipnosi, sembrano stare al confine tra questo e un altro mondo. È come se l’esplorazione di certi temi in "Nora" non mi fosse bastata, e avessi sentito il bisogno di insistere, cambiando giusto la prospettiva, e adottando con Le larve un punto di vista maschile, dopo aver tentato quello femminile.
Il tema della fanciullezza emerge tramite i ricordi dei protagonisti, sogni e racconti. È un simbolo o lo utilizzi per far conoscere meglio la psicologia del personaggio tramite flash back del suo passato?
Per me scrivere storie è soprattutto esplorare il passato dei personaggi, alla ricerca di quel che è già avvenuto: è muovermi liberamente tra presente e passato. Scoprire il passato dei personaggi aiuta, come è sempre stato, a chiarire le loro azioni e i loro pensieri al presente: ma spesso in realtà, invece di dare risposte, questa ricerca costringe a farsi altre domande, non spiega, divaga, aggiunge mistero, suona incongrua. La fanciullezza, l’adolescenza sono un serbatoio senza fine di spunti narrativi: i bambini e i ragazzini vivono già come se si sentissero personaggi di un romanzo interminabile, o come prigionieri di "un lungo sogno minaccioso". Le loro paure, i loro momenti di esaltazione, le scoperte e le esitazioni hanno un sapore fortissimo, che la letteratura può sperare di recuperare almeno in parte.
I personaggi sono messi a nudo, svelati nelle loro pulsioni, desideri e ansie più recondite. Come costruisci i tuoi personaggi?
A caso e per accumulo, mescolando reminiscenze letterarie, ricordi, gesti osservati negli altri. Non seguo scalette, non mi rifaccio a progetti: lascio che gli elementi più disparati si compongano un po' alla volta, trovino connessioni, formino una storia, delle vite, con l'unico limite che ciò che scrivo non suoni autobiografico. Non dovevo strutturare un thriller (non ne sarei capace, detto tra noi). La complessità dei personaggi deriva da questo metodo, che forse è solo mio, e che non esclude, anzi ingloba le incoerenze, le contraddizioni, tutta una serie di dettagli sconvenienti, di pensieri o atti riprovevoli, o semplicemente molto intimi. La vita è fatta anche di questo, di aspetti irrisolti, scelte incomprensibili, incongruenze, sbagli, rimorsi, vergogne, e di uno sfilacciarsi delle storie che mi ha sempre affascinato. Ecco, ho cercato di portare nei miei libri un po' di questo andare alla deriva, di questa inconcludenza della vita, che per me si carica di mistero. I libri hanno di solito una tenuta impeccabile, sono strutturati secondo una solidità di costruzione che la vita non ha. Quella solidità rimanda a un senso di ordine che è molto gratificante, rassicurante: ma appunto, io non voglio essere rassicurante.
Cosa ci puoi dire della tua esperienza con il mondo editoriale?
Mi trovo bene con Pendragon: è un editore dinamico, che ha voluto credere nel mio libro così poco etichettabile e lo promuove adeguatamente. Mi rendo conto però che un autore deve sapersi muovere anche da sé, sviluppare una rete di contatti, cercare uno per uno i suoi lettori, condividere informazioni con altri scrittori: internet, presentazioni e buoni rapporti con i librai possono aiutarlo in questo, creare attenzione e affezione, oltre che nuove occasioni e vere amicizie.
Oltre due romanzi, hai scritto monologhi per il teatro e commedie per la radio. Da dove deriva il tuo amore per la parola scritta?
Mi è sempre venuto facile raccontare storie, soprattutto per iscritto. I dieci anni di radiocommedie sono stati una preziosa occasione per affinare l’arte di impostare dialoghi, tagliare scene, lavorare con pochi mezzi e molti limiti. Scrivere – lo sai anche tu – è un impegno che coinvolge emotivamente, che mescola emozioni molto forti, dall'esaltazione (quando si trova una soluzione brillante, o l'immagine più giusta o più sorprendente) alla sofferenza (per una parola che non viene, per un’espressione stonata), che pesca nel profondo; ma non è solo un atto solitario, perché richiede condivisione, e cerca in un certo senso gli altri, ha bisogno degli altri. Confesso che non potrei più fare a meno di tutto questo. Poi, insomma, con le parole ho a che fare anche per professione, visto che insegno lettere in un liceo, e mi occupo – come dire – di editing dei compiti in classe da molti anni ormai.
In chiusura dell'intervista ti volevo chiedere dei tuoi progetti futuri.
In generale, spero di poter continuare a scrivere in piena libertà di ciò che più mi piace. Continuo a tornare su altri due romanzi quasi pronti, che mi sono venuti così tra le mani, in questi anni: in uno indago il rapporto tra creazione artistica, libertà di espressione e oppressione politica, nell’altro immagino una corsa a perdifiato di personaggi smarriti, in una specie di storia picaresca, via via più improbabile…
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