Quanto tempo era passato dalla prima partita? Non ricordava di preciso. Si ricordava invece, perfettamente, il momento cruciale in cui Anna aveva fatto capolino nel circolo di scacchi della sua città. Un visino allegro contornato da un cespuglio di capelli neri come il carbone. Due occhietti, anch’essi neri, vispi e spiritati. Un corpicino esile e snello. Una molla. “Posso giocare?” gli aveva chiesto senza alcuna timidezza attirando lo sguardo degli altri giocatori. A prima vista dimostrava sedici-diciassette anni ma in seguito seppe che ne aveva venti. Già grande, già matura. Anche per gli scacchi che le erano stati insegnati da suo padre fin dalla più tenera età. La voce era deliziosa, un po’ trillante, ma deliziosa e il tutto lo aveva scosso e riscosso dal suo isolamento mentre stava studiando sulla scacchiera una nuova idea sulla Siciliana, un’apertura che di idee ne aveva già fin troppe di suo. Già, la prima partita e il suo primo innamoramento. Aveva vinto ma sofferto. Quella ragazzine a prima vista così fragile lo aveva costretto ad una partita lunga e difficile.
Gianni sentì lo scatto dell’orologio. Toccava a lui. La posizione era incerta. Aveva il Bianco in una variante del Dragone della Siciliana. Un’apertura a doppio taglio, da prendere con le molle anche se a suo tempo era stata sbeffeggiata dal grande Fischer. Dopo alcuni minuti decise di proseguire con l’attacco sull’ala di Re sacrificando un pedone lungo la colonna “h” come da canone.
Si era innamorato sul serio, era stato ricambiato, si erano sposati. Oh, come era stato felice! E come era stato orgoglioso di portare a braccetto per Siena quella ragazza aperta al sorriso, piena di vita e di calde promesse! Insieme avevano visitato le ricchezze artistiche della città, avevano scorrazzato per le colline senesi, si erano amati, si erano divertiti. Era nato anche un accordo che coniugava la loro passione per gli scacchi. Qualsiasi decisione importante da prendere veniva aggiudicata all’uno o all’altra attraverso una partita. E che partite, che battaglie! Senza un vincitore sicuro perché ormai lui e lei erano alla pari. Ma erano contenti in ogni caso perché le decisioni venivano condivide in tutto e per tutto. L’Amore fa questo e altro.
Toccava di nuovo a lui. Mmmmh, la faccenda si stava complicando. Aveva attaccato sul lato di Re ma il Nero non stava con le mani in mano e faceva pressione sulla colonna “c”. Doveva stare attento…
Ma quanto tempo era durato il momento magico? Perché ad un certo punto si era interrotto? Forse i figli che non venivano?.
Si riscosse, doveva concentrarsi di più e non lasciarsi trascinare dall’onda dei ricordi. Dunque dopo l’apertura della colonna “h” occorreva sfianchettare l’Alfiere camposcuro del Nero appostato nella casa g7. Fece la mossa e dette un piccolo colpo all’orologio.
I figli. Già i figli. Aspettati e non venuti. Soprattutto da Anna che ci teneva da morire e ogni volta che vedeva una con il pancione quasi le veniva da piangere. A poco a poco si era come chiusa in se stessa e quegli occhi neri e scintillanti erano diventati opachi e tristi. Oppure…
Mmmmh…Il Nero non aveva accettato lo sfianchettamento e aveva ritirato il suo Alfiere nella casa h8. Quell’Alfiere rintanato non gli piaceva per nulla. Sembrava aspettasse il momento giusto per un agguato…
Oppure era stata colpa sua, la passione che si trasforma in un grigio tran tran della vita. Anche le partite fra loro erano diventate lunghe e noiose. Le decisioni prese con un mezzo sorriso sulle labbra.
Si accorse di perdere tempo in questi stupidi ricordi e mosse veloce spostando un Cavallo al centro della scacchiera.
E poi…poi c’era stato quel fatto…quel fatto di Luigi, del suo amico Luigi che…insomma lo aveva trovato a parlare fitto fitto insieme ad Anna proprio sul divano della sua casa…in una posizione che gli era sembrata in seguito, quando ci aveva ripensato, un po’ intima, troppo intima. E gli era sembrato…
Toccava di nuovo a lui. Fece la mossa quasi in trance.
Gli era sembrato di vedere come un lampo negli occhi di Anna, come se avessero ritrovato per un attimo il loro naturale luccichio. Fantasie, solo brutte fantasie per cercare una scusa al loro rapporto giunto alla fine.
La partita ormai gli interessava più. Muoveva meccanicamente quasi per istinto riflesso come il cane di Pavlov.
Negli ultimi tempi, poi, gli era sembrato addirittura di notare nello sguardo della moglie e di avvertire nel tono delle parole una specie di asprezza, di astio senza che si concretizzasse in accuse precise. Il che lo lasciava a rimuginare per giornate intere.
Tirò un sospiro profondo. Troppo tardi si accorse della sua sventatezza. Anna prese la Donna e la piantò nella casa “b2” sostenuta dall’Alfiere in h8. “Matto. Hai perso”. Poi tirò fuori dalla borsetta la pistola e gli sparò.
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