L'unico peccato è l'opera prima di Sergio Calamandrei, toscano, uscita ormai più di un paio di anni fa, ma che resta per il momento ancora l'unico romanzo dell'autore. Il nome non è nuovo sulle pagine della rivista in quanto alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in nostre rubriche.

La storia è quella di Domenico Arturi, detective privato dal passato torbido, a cui viene affidato il compito di indagare sul suicidio sospetto di un giovane studente. Attorno all'Arturi ruotano molti personaggi con le proprie vicende personali e inseriti nell'indagine: un gruppo di aspranti scrittori, il commissario Federici, il Greco spacciatore di droga, il compagno di stanza del morto, per citarne solo alcuni. Sullo sfondo la Firenza dell'Arno e della biblioteca nazionale, città che fa da fondale, senza mai uscire veramente in tutto il suo fascino. Risultato? Un volume corposo e denso, ma anche piuttosto grezzo e poco compatto.

L'opera sembra, infatti, scritta di getto, priva di revisioni e di editing, questo porta con sè anche una struttura faticosa, poco oliata e armoniosa. Le storie dei personaggi si amalgamano a fatica, andando avanti su strade separate e parallele, senza riuscire a creare un quadro realmente complesso e variegato.

Questo penalizza anche le idee belle e gli spunti interessanti, tra cui sopra tutti il tema dei "libri nel libro", che da una parte si disperdono tra le pagine e, nello stesso tempo, l'autore stesso le abbandona per impossibilità di gestione.

Difetti da opera prima? Sicuramente, ma non solo. L'impressione è quella di un romanzo ingenuo e che non ha saputo sfruttare il potenziale racchiuso in alcuni spunti e idee.

Trovate un'intervista all'autore in rubriche/7053/