Un temporale minaccia la cittadina di Dignano d’Istria. E’ la musica di Antonio Smareglia che descrive le parole che vanno a formare il dramma di Marussa e di Lorenzo.

Il prologo sa di cupa atmosfera che, con i suoi lampi e tuoni, svela un inizio d’opera che preannuncia una fine già segnata. L’inganno tingerà di sangue l’amore dei due giovani e artefice ne sarà proprio il padre di lei, Menico, avaro e crudele, che vuole che la figlia sposi Nicola, un buon partito, disposto a rinunciare alla dote.

L’orchestra fa ed è il tempo. Dai timbri pastorali a quelli folkloristici; dalla villotta alla canzone d’amore; dai lampi alla preghiera di Marussa del terzo atto e al duello mortale.

Nella cartolina in bianco e nero di Dignano, tra i chiaroscuri di quest’agglomerato urbano che ricorda la piazza di Soelden della Wally di Alfredo Catalani, l’incontro tra Marussa e Lorenzo genera lo scambio di un pegno d’amore: la ragazza dona un cuoricino d’oro, il giovane un orecchino.

Menico vede tutto, interviene e si vendica.

Con l’aiuto dello stornellatore Biagio, concerta un piano diabolico: trova il dono di Lorenzo che Marussa aveva nascosto ai piedi di una statuetta della Madonna, incarica una ingenua fragolaia slava di restituirlo al giovane, facendogli credere così che l’amore della figlia è finito.

Lui cade nell’inganno e, disperato, rispedisce al mittente il cuoricino d’oro.

E’ Marussa, questa volta, a pensare di essere stata lasciata dall’innamorato e acconsente di sposare il partito propostole dal padre.

Il giorno delle nozze si scopre la verità, giungendo al fatidico duello che vedrà la morte dello sfortunato Lorenzo.

Questa Cavalleria rusticana del Nord-Est dell’autore giuliano Antonio Smareglia incontrò i favori di Giacomo Puccini e di Franz Lehar, che ne curò una bella trascrizione per pianoforte.

Le nozze istriane, la più bella opera del compositore di Pola, furono dedicate all’Arciduca Carlo Stefano.

Ciò costò salatissimo a Smareglia, che fu accusato finché visse e anche dopo di austriacantismo.

Se a ciò si aggiunge l’incondizionata passione di Smareglia per Richard Wagner e per la musica tedesca, si capisce, ma non si giustifica affatto, l’ottusità degli impresari e degli editori italiani che rifiutarono i lavori del compositore istriano.

Lodi e tante, invece, gli vennero da Brahms e da Hanslick (“Aus dem Tagebuch eines Musikers”). A Vienna, dove il Maestro si era recato lasciando l’ostile Milano, l’accoglienza fu calorosa e intensi i legami con i poeti tedeschi.

Nacquero allora le opere Il vassallo di Szighet (1889) e Cornelio Schutt (1893), riveduta poi sotto il nome di Pittori Fiamminghi.

Entrambe furono rappresentate al Teatro Imperiale di Vienna.

Il vassallo di Szighet gli valse un invito a New York, ma Smareglia vi rinunciò, forte come sentì il richiamo della sua Terra, Pola, dove era nato il 5 maggio del 1854 da Francesco e Giulia Stiglich di Lovrana.

Smareglia si stabilì a Trieste, ma anche in questa città, non gli furono risparmiate persecuzioni e calunnie.

Fu persino tacciato di antisemita, lui che aveva composto bellissimi canti ebraici.

Colpito da una incurabile e progressiva malattia agli occhi, nel 1900 perse la vista.

Continuò, però, a comporre, dettando le note alla moglie, ai suoi allievi, ai figli.

Completò così l’opera La Falena, che fu rappresentata al Teatro Rossini di Venezia il 4 settembre 1897, sotto la direzione di Gialdino Gialdini e con il libretto dello scrittore irredentista Silvio Benco.

La musica piacque, sprigionando grandiosità, misticismo e bellezza armonica.

L’orchestra sostenne, meglio sostituì brillantemente, i personaggi privi di peso scenico.

Fu il frutto di continui studi, perché il genio si costruisce con le lacrime dell’arte.  E altre prove di genialità furono le opere Preziosa e Bianca da Cervia, accolte con successo dai critici e dal pubblico raffinato.

Difendere Wagner, andare contro Casa Ricordi, imporre le proprie idee, non fu impresa facile per Antonio Smareglia.  Come non lo fu per Alfredo Catalani, il compositore lucchese, che nacque un mese dopo Smareglia.

Le nozze istriane rappresentano un tentativo di fare entrare il popolo nell’opera sul tipo di quello che aveva consentito a Musorgskij di scrivere il suo Boris.

Giace polveroso e ineseguito il famoso (allora) Inno a Tartini, il cui manoscritto si trova nella Casa\Museo del Maestro di Pirano d’Istria.

Perché?

Nel 1921 Smareglia fu incaricato, con Tommasini, di completare il Nerone di Boito, del quale fu amico.

Grandi personaggi, cito Arturo Toscanini e Richard Strauss, ammirarono la maestrìa nel contrappunto del compositore di Pola, tuttavia le sue opere non sono riuscite ancora a diventare popolari, anche se James Joyce profetizzò che "Smareglia sarà ricordato per secoli dopo la sua morte”.

Dopo la Grande Guerra, il musicista istriano visse povero e dimenticato.

“Pressoché sconosciuto fuori da Trieste e dall’Istria, Smareglia viene ancora regolarmente eseguito al Teatro Verdi di Trieste, che sta richiamando una crescente attenzione su una produzione operistica che, a pieno diritto, si iscrive nel vivo della storia italiana degli ultimi decenni dell’Ottocento. Ed infatti, anche se per ragioni anagrafiche e biografiche (soggiorno viennese tra il 1888 e il 1894) Smareglia può accostarsi ad altre tradizioni musicali (è pure innegabile la presenza della musica slava ), egli appartiene, per formazione e per scelta artistica, all’ambiente milanese di Faccio, Boito e Illica”. (1)

“Smareglia si presenterà all’Accademia del Conservatorio alla fine dell’anno scolastico ’76-77 con un poema sinfonico su argomento tratto dalla celebre ballata del Burger Leonora. E Filippi, nella Perseveranza”, parlerà di processo di assimilazione d’opere classiche assai ben studiate dal compositore (Smareglia ), di riflessi beethoveniani, di sintesi ispirata resa possibile da vastità culturale.

Casa natale di Antonio Smareglia a Pola
Casa natale di Antonio Smareglia a Pola
Dal suo legno in rotta per le Americhe della cultura, Boito doveva voltarsi indietro a spiare soddisfatto i legni seguaci”. (2)

Fu a Grado che, il 15 aprile dell’anno 1929, in faccia ad una laguna ancora percossa da qualche brivido invernale, la morte liberò Antonio Smareglia dalle sue sofferenze fisiche e morali.

(1) Deum e Corrado Ambiveri Operisti minori dell’Ottocento italiano, Roma, Gremese Editore, 1998, pp.145-146.

(2) Piero Nardi Vita di Arrigo Boito, Milano 1942, pag. 355-356.