Roberto Valentini giunge a Scimpru dopo il trittico dedicato al giornalista-detective Carlo Castelli: Impasto perfetto, Terre Rosse e Nero Balsamico, tutti usciti per i tipi della Todaro.
L’autore mette nel frullatore Modena e la Sardegna: dopo il casello di Borgo Panigale non c’è Bologna, ma Iglesias, un meta-suolo sospeso tra cultura contadina e società industriale che fa emergere, per dirla con Valerio Varesi, “nuove contraddizioni derivanti dall’ibridazione tra culture differenti”.
E infatti l’Italia che ne viene fuori è assolutamente verosimile, nonostante le difficoltà dettate da un plot che più classico non si può (amore, gelosia, morte): insomma, un Paese unito nell’abietto e frammentato nel positivo. A unirci non ci sono solo i confini o lo stato di diritto, ma un’atavica volontà di metterlo in quel posto al prossimo, specialità umana di cui l’italiano medio è, di norma, un campioncino.
Ma forse non è neanche questo.
Non credo che Valentini abbia voluto scrivere qualcosa solo sull’essere sardi o emiliani, su come queste due culture possano incontrarsi o scontrasi; certo è che indagando due pezzi distinti, al di là di ogni possibile conclusione o interpretazione, viene fuori uno spaccato concreto e attuale dell’intero Paese.
L’unico limite di Scimpru è il suo muoversi sul confine di certi cliché e stereotipi di genere spesso “telefonati”, oltre che su una certa antropologia spiccia che vuole il sardo capoccione e risoluto.
Limiti comunque spazzati via dalla brevità del testo, dalla buona struttura e da una narrazione nel suo complesso felice e ben riuscita.
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