Al buon Mauro Smocovich, responsabile di ThrillerMagazine, verrà un colpo quando gli presenterò il foglio di trasferta. Non dovrebbe però lamentarsi: ho scroccato pranzi, cene e merende a Jack Morisco e ho dormito in un bungalow di poche pretese. Però il tragitto devo pur metterglielo in conto: volo Trieste-Roma. Poi Roma-Bangkok-Singapore. Singapore-Bali. Il traghetto da Bali lo pago io, va'. Dove sono andato a pescare Jack? Beh, a Lombok, no! Come dite? Esiste l'e-mail, oppure ci sono buone schede telefoniche internazionali a tariffe abbordabili e... Suvvia, non potevo mica fidarmi, con Echelon, l'NSA, il Patriot Act e tutto il resto. Naah, dovevo incontrarlo di persona. O state forse mettendo in dubbio la mia buona fede?!

E poi, insomma, è stato un investimento: uno scrittore in gamba come Giancarlo Narciso non si trova mica dietro l'angolo! I suoi romanzi, in compenso, li trovate in tutte le librerie e anche in edicola. Questo mese, per esempio.

Caro il nostro Giancarlo, ti abbiamo stanato. I documenti relativi al dossier "SFL - Segretissimo Foreign Legion" sono stati declassificati, tutte le coperture sono saltate. Prima che circolino notizie fasulle, vuoi essere tu a precisare com'è avvenuto il tuo reclutamento nel Team? Si era agli inizi del 2002, avevo appena finito di scrivere Sankhara, l’unico mio romanzo ambientato in Italia, ed era venuto il momento di affrontare una storia che avevo in mente da tempo e a cui, per qualche motivo, non avevo ancora voglia di mettere mano. In quel momento mi telefona Sandrone Dazieri, all’epoca al timone di Segretissimo e del Giallo Mondatori, e mi propone di scrivere storie di spionaggio sotto pseudonimo. La cosa mi diverte fin dall’inizio e mi viene in mente l’idea di creare una spia che lavori per i servizi segreti di quella che, per molti anni, era stata la mia patria d’adozione, cioè Singapore. Pochi mesi dopo ho consegnato le bozze di Furia a Lombok.

Dunque BANSHEE, l'agente segreto protagonista della tua serie per Segretissimo, è stato ideato apposta per questo progetto, non hai colto l'opportunità per dare vita ad un personaggio che già reclamava di esistere?

Fino alla telefonata di Sandrone, se qualcuno mi avesse detto che sarei finito a scrivere spy stories, gli avrei dato del matto.

No, Banshee è venuto al mondo nel 2002.

Il tuo alias nella SFL è Jack "Morisco". Ammettilo: sei, o sei stato, un lettore di Tex! Approfittiamo per aprire una piccola parentesi su quanto - in letteratura, nel fumetto e nel cinema - più ti ha formato come narratore.

Ebbene sì, Tex l’ho letto davvero molto. Per quanto riguarda la seconda domanda, gli scrittori che più mi hanno condizionato sono prima di tutto Raymond Chandler, poi Elmore Leonard, Ed McBain e, come autori mainstream, Hemingway e Graham Green. Cinema e fumetti sono stati uno strumento importantissimo di formazione nella tecnica di costruzione delle storie, ma anche per i dialoghi. Fra gli autori di fumetti a cui sono maggiormente debitore ci sono senz’altro Hugo Pratt e il grandissimo e inimitabile Vittorio Giardino. La sua Porta d’Oriente è un piccolo capolavoro.

Vuoi spendere ora due parole su Jack, soprattutto raccontarci il suo rapporto con Giancarlo Narciso? Conflittuale. Politicamente, Jack Morisco è un conservatore, come ogni scrittore di spionaggio che si rispetti. Il che lo porta a scontrarsi con Narciso che è invece un ribelle anarcoide.

La prima avventura di Banshee è stata FURIA A LOMBOK. Incuriosisci il lettore disattento con una personale quarta di copertina e poi anticipaci l'appuntamento previsto per il secondo episodio!

Ahimè, le sinossi mi vengono male, ma vediamo un po’ cosa riesco a fare. I disordini e conflitti etnico religiosi esplosi a Lombok impensieriscono non poco i vertici del JID di Singapore, che mandano sul posto Banshee, uno dei loro migliori agenti. Ma nessuno poteva immaginare la vera portata della minaccia che incombe. E quando Banshee scopre che, dalla sua base nel cratere del vulcano che domina la piccola isola tropicale, un miliardario coreano sta mettendo a punto un piano sinistro, destinato ad alterare gli equilibri geopolitici del mondo intero e a travolgere l’intero scacchiere del sud est asiatico, non c’è più tempo di chiedere rinforzi. Per metterci una pezza, Banshee è costretto a infiltrarsi da solo nel campo nemico e a chiedere aiuto alla bella Pamela. Alla fine, il nostro eroe riuscirà a sgominare l’avversario, ma a un prezzo di gran lunga troppo salato. Il tutto sullo sfondo di schegge di Al Qaeda, donnine discinte e dragoni di Komodo. Per quanto riguarda il secondo episodio, Le Tigri e il Leone, in edicola dal 1 marzo, posso solo dire che è ambientato nello Sri Lanka, dove Banshee, in rotta con il suo nuovo capo, viene inviato per portare aiuto al collega Munindra in difficoltà. Una missione apparentemente di tutto riposo.

Banshee non ci metterà molto a capire di essere finito in una trappola mortale dove non può fidarsi di nessuno.

Il personaggio seriale: come affrontarlo? E ancora: opportunità e pericoli di questa scelta.

Per molti versi, la serialità, che avevo già affrontata con Rodolfo Capitani, il protagonista di Le zanzare di Zanzibar e di Singapore Sling, presenta aspetti molto piacevoli, consente di affezionarsi al personaggio, di approfondirne la conoscenza. I rischi, dopo un certo numero di apparizioni, sono quelli di diventare ripetitivi e inaridirsi nel cliché. Per Banshee, che ha una storia passata complessa che non ho ancora rivelato se non in minima parte, c’è il pericolo addizionale di dimenticarsi di qualcosa, di contraddirsi fra un romanzo e l’altro. Ho ormai un vasto file zeppo di annotazioni, e mi tocca spesso consultarlo perché non mi ricordo mai, per esempio, dove ha studiato. Mi sembra letteratura al Trinity College di Dublino per poi prendersi un MBA a uno strano politecnico di Parigi di cui continua a sfuggirmi il nome. O che pistola usa. Mi sembra una Sig Sauer.

Hai vissuto in varie parti del pianeta. E' inevitabile che queste esperienze confluiscano nella tua narrativa, facendone uno dei vari punti di forza. Vuoi parlarcene?

Be’, io ho viaggiato ininterrottamente per quindici anni spinto da sete di avventura e credo che questo abbia contribuito a formare un patrimonio di spunti e ispirazione basati su esperienze vissute in prima persona. Credo che questo faciliti in qualche modo la creazione di trame complesse. Poi, credo che poter ambientare storie a Singapore, o a Lombok o in Messico, contribuisca in qualche modo a darmi un’identità. In ogni caso, mi diverto di più a scrivere storie di ambientazione esotica che nostrana e non è un caso che, dei sette romanzi che Narciso e Morisco hanno scritto, solo uno, Sankhara, si svolga in Italia, a Rovereto per l’esattezza. Per altro, per il mercato straniero questo non è sempre un fatto positivo. Negli ultimi due anni, tre dei miei romanzi sono stati tradotti in Germania, ma l’editore avrebbe voglia che ogni tanto scrivessi anche del nostro paese.

Dice che, quando un tedesco compra un romanzo di uno scrittore italiano, si aspetta di vedersi parlare dell’Italia, non di Hong Kong o di Puerto Escondido.

FAZI ha di recente ripubblicato LE ZANZARE DI ZANZIBAR. E' stato il tuo editore anche per l'inedito SANKHARA e per la ristampa di SINGAPORE SLING. Tre titoli importanti della tua carriera letteraria.

Sicuramente. Avevo finito Sankhara, un romanzo che rispondeva a un’esigenza del momento di scrivere A) un giallo ortodosso, visto che nessuno degli altri miei romanzi lo era (se non, entro certi limiti, Singapore Sling, in quanto omaggio al mio romanzo preferito, ovvero Il lungo addio di Chandler) e B) di dimostrare a me stesso di sapere ambientare una storia in Italia. In quel momento, per motivi diversi, nessuno dei miei precedenti romanzi era disponibile in libreria. I GUARDIANI DI Wirikuta e Le zanzare di Zanzibar erano scomparsi con il fallimento di Granata Press, la leggendaria casa editrice di Luigi Bernardi, mentre Singapore Sling, uscito nel 98 nel Giallo Mondatori, si trovava solo occasionalmente in qualche remainders o sulle bancarelle.

Fazi mi ha dato l’opportunità di riproporre i due romanzi a cui ero più affezionato.

Prossimamente, a firma Narciso, concluderai la Trilogia di Rodolfo Capitani oppure leggeremo prima qualcos'altro?

Innanzitutto diciamo che la terza puntata della saga, Incontro a Daunanda, non sarà conclusivo visto che sto già lavorando alla quarta, ovvero Coconut Airways. Posso anticiparvi che, oltre a Rodolfo, ricompare anche José Luis, il suo collerico compagno di Le zanzare di Zanzibar, e che è ambientato a Lombok, con una capatina in Australia, ovvero Down Under, o Daunanda. Per quanto riguarda la data di pubblicazione, paradossalmente è sicura solo quella della edizione in Germania, dove uscirà per la Goldmann entro fine anno. Temo che per l’Italia dovremmo aspettare fino al 2006.

Come alcuni altri appartenenti alla SFL (cioè Di Marino, Altieri e Cappi), sei stato chiamato da Gianfranco Orsi a contribuire alla riuscita di un'ottima antologia dedicata ai migliori giallisti italiani: KILLERS & CO, edita in hard cover da Sonzogno (2003). Un'iniziativa che credo abbia avuto un buon successo di pubblico. Confermi?

Mi è stato detto di sì, un ottimo risultato se si considera che le antologie di Autori Vari in genere stentano a trovare spazio.

Invece, a conferma del buon esito dell’iniziativa, in aprile uscirà, sempre per Sonzogno e con gli stessi autori, KILLERS & CO 2, cioè Fez, Struzzi e Manganelli, una antologia di racconti ambientati nel ventennio fascista.

Tu stesso hai curato, in collaborazione con Alfredo Colitto, una antologia di scrittori italiani e messicani: UN OCEANO DI MEZZO (Nuovi Equilibri/Stampa Alternativa). Una proposta interessante, che merita essere ricordata.

È stata un’esperienza divertente, anche per l’opportunità di confrontarci con i nostri colleghi messicani, e costellata di aneddoti singolari. Uno dei momenti più esilaranti è avvenuto nel corso di una presentazione a Trento, quando, di fronte alle telecamere e sotto gli occhi sgomenti delle autorità accorse in pompa magna, Andrea G. Pinketts ha malmenato il console generale del Messico, reo di un paio di scherzi di dubbio gusto ai danni degli scrittori italiani. Quella sera abbiamo sfiorato l’incidente diplomatico.

Ma giustizia è stata fatta.

Come autore, quale tipo di critica ti disturba di più?

Quelle di tipo ideologico, morale, politico. Come il tipo che ha scritto al giornale per lamentarsi che Sankhara dipingeva Rovereto come una città di delinquenti. O la signora che ha detto, sempre a proposito dello stesso romanzo, che offendevo la religione cattolica. Se lo dice lei…

Qual è invece, tra i tanti ricevuti, l'apprezzamento che veramente ti ha fatto "gongolare" oltre misura?

Una lettera di uno sconosciuto, che mi ha detto di aver letto le zanzare di Zanzibar in ospedale, in un momento molto triste della sua vita. Diceva che si era divertito tanto da fargli venire voglia di guarire e partire per un viaggio. Forse esagerava, ma mi ha comunque commosso.

Ce lo fai un flash sulla tua esperienza di soggettista televisivo?

Veramente c’è poco da dire. Da Singapore Sling hanno tratto un originale per la televisione, non ancora andato in onda, ma io non ho fatto proprio nulla, se non leggere la sceneggiatura e andare sul set con un sorriso idiota stampato sul volto a cercare di capire come si poteva ambientare quella storia a Belgrado. Infatti l’hanno intitolato Belgrado Sling.

Ritorniamo alla spy story. Come vedi la situazione dello spionaggio (canonico, contaminato o contaminante) di produzione italiana? Uno sguardo al presente, una previsione per il futuro.

Il presente della spy story, in questo particolare momento storico, vive la stessa crisi della editoria in generale. Detto ciò, credo che, fra le “spie” italiane, ci siano grosse potenzialità. Per ora, siamo pochi e affrontiamo le nostre “missioni” con spirito abbastanza goliardico, divertendoci molto e scambiandoci pareri e consigli. Se devo azzardare uno scenario possibile, il fenomeno potrebbe essere destinato a crescere. Se ciò avvenisse, temo che in futuro si accentuerà l’aspetto più serio, più fattuale, limando un po’ sui tratti puramente avventurosi che contraddistinguono l’attuale produzione, così ricca di contaminazioni, da Salgari a James Bond, agli spaghetti western. A quel punto, potremmo trovarci a vivere una situazione simile a quella che, una dozzina di anni fa, ha vissuto il giallo, quando all’improvviso i giallisti italiani, fino a quel momento dei paria, sono stati sdoganati e ammessi quasi alla pari fra gli scrittori “seri” (e scusate le virgolette). Uno Stephen Gunn, per esempio, non ha nulla da invidiare a Gerard de Villiers, per intenderci. Anzi. E lo stesso vale per Altieri, Torrent e gli altri della sfl, tutti scrittori di ottimo livello. Speranza di esportare in modo significativo la nostra spy-story, quantomeno in Europa? Vedi sopra. Secondo me, sì, tutto dipende da come va l’editoria in generale. Prima però bisogna passare dalla edicola alla libreria, cosa che sta già avvenendo con Di Marino, che sta riproponendo i primi romanzi del Professionista con Tea.

Ti saluto e ti ringrazio. Lascio a te l'onere e l'opportunità di chiudere l'intervista. Questa missione è sostanzialmente conclusa. Hai l'ultima cartuccia prima di ripiegare. Usala, se lo ritieni opportuno.

Grazie a te per questo ultimo colpo, di cui approfitterò per aggiungere una considerazione. Premesso che parlare di genere letterari è sempre pericoloso e, in ultima analisi, futile, direi che, con l’esclusione di John Le Carrè e pochi altri, la spy story è in soggezione rispetto al giallo, a cui viene attributa una connotazione più “seria”, oltre al merito di sapere esplorare aspetti oscuri della realtà sociale.

In compenso, il genere spionistico è soggetto a vincoli molto più elastici, il che si traduce in una maggiore libertà da parte dell’autore di accendere i motori della fantasia. Scrivere di spie e agenti segreti può essere un’esperienza molto divertente e stimolante per un autore. Mi auguro che gli editori si accorgano che esiste uno spazio, là fuori, che attende solo di essere riempito e che la sparuta pattuglia di legionari della SFL possa crescere di numero.