Tra morti premature, come quella che ha colto Heath Ledger a soli 28 anni, arresti all’indomani della prima, quello di Christian Bale manesco con madre e moglie, incidenti automobilistici come quello occorso a Morgan Freeman, Il cavaliere oscuro inizia da più parti ad essere considerato come un film maledetto.
Lasciando da parte la fama sinistra del film, ammesso e non concesso che esista, Il cavaliere oscuro è anche la seconda volta di Christopher Nolan alle prese con la creatura di Bob Kane (la prima volta fu Batman Begins nel 2005), così è come la seconda che ad interpretare l’uomo pipistrello tocca a Christian Bale. È anche il tentativo, riuscito, di traghettare definitivamente l’uomo pipistrello verso quella maturità cinematografica che neanche il grande Tim Burton era riuscito a conferirgli (tanto meno Joel Schumacher…).
Sarà questo il motivo che fa de Il cavaliere oscuro un film che abbisogna di almeno due “sguardi” perché nonostante l’impegno profuso nel primo, uno soltanto pare proprio non bastare. Non basta perché la materia è complessa, molti i personaggi, tanti gli accadimenti che si intrecciano (da qua l’utilizzo molto frequente del montaggio parallelo…). Per fortuna al secondo sguardo le ombre si fanno meno scure, le sfumature meno sfumate e quasi tutti i tasselli vanno al posto giusto, il che consente di giungere ad un giudizio meno campato in aria del solito…
I fratelli Nolan, loro la sceneggiatura, hanno capito da un pezzo che solo con Batman non si va da nessuna parte e che le caratteristiche del personaggio, per quanto conosciute e amate, da sole non possono bastare. C’è bisogno per forza di altro, e questo altro finisce con l’assumere le forme e le fattezze di Gary Oldman nei panni del Tenente Gordon (un ritorno da Batman Begins, come quello di Micheal Caine/Alfred Pennyworth e Morgan Freeman/Lucius Fox). Aggiungiamoci Aaron Eckhart, il procuratore distrettuale Harvey Dent, intenzionato a colpire la criminalità di Gotham City là dove fa più male, cioè nel portafoglio, e infine la sua fidanzata Rachel Dawes (Maggie Gyllenhaal).
Last but not least c’è bisogno soprattutto di un nemico, uno di quelli bigger than life, così che a diventare “più grande della vita” sia la battaglia che va da iniziare. Anche questo passaggio cruciale è risolto grazie alla presenza di Heath Ledger nei panni del Joker, capace di non sfigurare a confronto di quello di Nicholson (nel primo Batman, quello di Tim Burton). Nel giro di qualche scena il Joker raggiunge uno spessore malefico che trascende di gran lunga le semplici azioni. Il suo obiettivo, infatti, si colloca ben al di là della semplice malvagità per puntare più in alto, verso quelle zone dove create le giuste condizioni e fatto sì che si realizzino, anche persone all’apparenza irreprensibili finiscono col saltare quel fossato che separa il bene dal male, per trasformarsi, una volta atterrate dall’altra parte, persone assai diverse rispetto a quello che erano prima del salto.
Con tali premesse impossibile aspettarsi una soluzione semplice. L’unica via praticabile è quella della falsificazione, seppure a fin di bene, prendere le cose così come sono accadute e trasformarle in come vorremmo che fossero andate per poi tramandarle, trasformare in bene quanto di male c’è stato, così che chi rimane possa continuare a credere che non tutto sia andato perduto.
Forse siamo dalle parti che conosciamo (o che crediamo di conoscere…) da quelle parti che rispondono al nome de L’infernale Quinlan (fabbricare prove false per incastrare un vero colpevole), o de L’uomo che uccise Liberty Valance (siamo a Ghotam City, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda).
Comunque si voglia vedere, siamo pur sempre a Gotham City (e per estensione in ogni grande metropoli…), cioè nel bel mezzo di un mondo di mezzo, metà luce, metà ombra, un mondo che sembra fatto apposta per un personaggio come il Joker, tragico e buffo al tempo stesso, improvvisatore e stratega, sincero e bugiardo (chi è stato a sconciargli la faccia così da renderlo un ghigno continuo? Il padre? Lui stesso?...), un personaggio cui Heath Ledger ha regalato di sicuro la sua più bella interpretazione, piena di forza ma anche di sottili sfumature, come quel continuo “slurpare” con la lingua, piccole pause in un torrente di parole.
Il cavaliere oscuro, per inciso più un marchio d’infamia che un segno di riconoscimento, deve la sua maturità non solo all’interpretazione di Ledger, ma anche alla forza dei conflitti che dissemina lungo tutti i suoi centocinquantadue minuti, conflitti che non riguardano solo e soltanto l’eterna lotta tra ombra e luce, ma anche altri temi fondamentali per Nolan, basti pensare a quello del doppio (gli emuli di Batman all’inizio…) e all’altro della memoria (cosa ricordare e di conseguenza cosa tramandare?).
Epperò, Il cavaliere oscuro non è la solo la messa in scena di dilemmi morali. È anche un concentrato di puro intrattenimento dove l’occhio affamato di azione troverà di che vedere. Basterebbe la sequenza iniziale, quella della rapina in banca, folle ed esagerata come mai vista prima, oppure il lungo inseguimento di Batman al camion con dentro il Joker a sua volta lanciato all’inseguimento di Dent, scena che vede tutti insieme i tre punti cardinali de Il cavaliere oscuro, arsenale di ombre elettriche vive come non mai…
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