Corrado non ne poteva più. Era tutta la mattina che saltellava da un’apertura all’altra, da una variante all’altra. Quella sera al torneo del circolo di scacchi avrebbe giocato con il Bianco. Questo, a dir la verità, costituisce di solito un certo vantaggio. Per gli altri, ma non per lui che non si decideva se aprire con e4, oppure con d4. Con e4 si sarebbe trovato di fronte sicuramente alla Siciliana. Ne era convinto al cento per cento. Il suo avversario, il giocatore più forte del circolo, era un patito della Siciliana e ogni volta che ci aveva giocato a blitz (ogni giocatore ha a disposizione cinque minuti per terminare la partita) aveva perso con l’aggiunta di incassare un sorrisino di superiorità che si allargava con lentezza insopportabile su quella faccia da topo morto. D’altra parte se avesse aperto con d4 sarebbe andato a contrastare al cento per cento una Olandese che non gli era mai piaciuta nemmeno in carne ed ossa quando… ma erano tempi ormai passati. Meglio, molto meglio se gli fosse toccato il Nero, almeno non sarebbe stato tutta la mattina a sfruculiarsi il cervello. Ma la Fortuna non capita a tutti e lui non l’aveva mai incontrata. Si era sposato giovane con la ragazza che aveva conosciuto alle elementari, dolce e carina a vedersi ma un po’ meno a starci. Forse perché non avevano avuto figli lo trattava sempre come un bambino poco cresciuto.
“Ma dove l’hai la testa!”, “Sei sempre con il naso per aria!”, “Ah, se sapevo che eri così distratto e disordinato!”, “Sempre dietro a codesti scacchi che ti rincretiniscono ancora di più!” erano le frasi che aveva ormai imparato a memoria e che riusciva a scandire dentro di sé prima ancora che uscissero dalla bocca della moglie. Le prime volte se la prendeva e cercava di rispondere peggiorando la situazione. Poi aveva capito che era meglio stare zitti e sopportare fino a quando la tempesta fosse passata. “Tutte le cose passano e nulla resta” diceva agli amici a mo’ di filosofo greco, quando voleva rincuorarli per una sconfitta con un motto che calzava alla perfezione con i suoi casi personali. Quella mattina, tutto preso dal dubbio amletico, si beccò una strigliata ancora più forte tanto che gli venne la voglia di aggiungere al suo motto primitivo la frase “Finché dura la pazienza”, ma poi alzò nuovamente le spalle e non ne fece di nulla. Meglio la resistenza passiva.
Dopo mangiato ci fu l’ordine perentorio “Prima di andare dai tuoi amici scansafatiche porta fuori almeno il sacco della spazzatura!”. Corrado non se lo fece ripetere due volte, salutò la moglie con un mesto sorriso, uscì, ritornò in casa a prendere il sacco, scese le scale, buttò il sacco nel cassonetto, salì in macchina sempre con l’assillo se aprire con e4 o d4. Mise in moto e partì di corsa mentre dalla finestra della casa di fronte due signore si sbracciavano per salutarlo. Gentili anche se non gli avevano mai rivolto parola. La gente è strana. Quando saluta e quando fa finta di non vederti.
Al circolo arrivò tutto trafelato, si mise davanti alla scacchiera e, iniziato il gioco, aprì istintivamente con c4 così avrebbe sorpreso il suo avversario con una apertura Inglese. Il fatto è che, come al solito nel momento cruciale si distrasse e si ritrovò nel bel mezzo di un matto affogato che gli tolse il respiro. “Tutte le cose passano e nulla resta” gli disse malignamente un giocatore per tirarlo un po’ su. “Mi sono distratto” rispose. Corrado, sudato fradicio, ritornò lentamente a casa. Qui trovò i carabinieri che lo ammanettarono e lo portarono in galera per avere investito distrattamente un bambino, mentre partiva con la macchina per giocare a scacchi.
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