“Se intendi continuare con questi schiamazzi da stadio, sarò costretta ad avvertire il Preside!” La Spinelli tremava e la voce sembrava uscirle a fatica dalla bocca contratta.

Santarosa le lanciò un’occhiata di commiserazione, che poteva essere scambiata anche per tenerezza: “Povera Olga…se continui a prendertela così finirai per ammalarti di nervi. Dai retta a me: Carpe diem!”

“Carpe diem!” urlarono in coro i ragazzi.

La Spinelli lo guardò come pietrificata . Poi, uscendo dall’aula , lanciò il suo minaccioso anatema: “Vedrai, caro Menotti, che non finisce qui!” .

La porta sbattè con violenza, facendo cadere la Pigotta dell’Unicef, che penzolava come un’impiccata accanto alla carta geografica del Regno Unito.

“Povera donna… c’è da compatirla!” osservò sospirando seraficamente Santarosa, scartando un bacio Perugina, che si mise in bocca con un gesto goloso.

Infine, sbirciando il foglietto nel quale era avvolto il cioccolatino, lesse, tutto ispirato: “Amor che a nullo amato, amar perdona…”

“Già, come si fa a non riamare chi ci ama?” si chiese perplesso, aggiustandosi il foulard.

La sera calava dalle Apuane, portandosi dietro un velo di rimpianto per la giornata ormai svanita. Una giornata che Olga aveva passato a correggere i compiti d’Italiano, mentre Ugo pisolava nella sua cuccia, sognando ossa da sgranocchiare fra i ciottoli della spiaggia e barboncine da inseguire, eccitato dall’odore della salsedine.

Olga sbadigliò, si avvicinò alla finestra dello studio e lanciò un’occhiata distratta alla strada già illuminata dai lampioni. Il negozio di modellismo ferroviario sotto casa era deserto. Una coppia indugiava abbracciata fuori da un portone accostato.

Di nuovo avvertì quel senso di disagio che la coglieva ogni volta che osservava una scena affettuosa. Si trattava di un sentimento assai simile all’invidia, che le saliva dalla bocca dello stomaco e si mischiava al rimpianto per le esperienze che non aveva vissuto.

Ripensò all’unica volta in cui aveva disertato la lezione all’università e si era sdraiata sull’erba umida del giardino di Boboli. Quella mattina, sotto una statua muta, Lui le aveva suggerito di gettare in un cassonetto la gonna a pieghe scozzesi e di mettersi qualcosa di più arrapante. Così lei aveva comprato un abito etnico e si era fatta la riga sugli occhi.

La sera stessa aveva litigato furiosamente con sua madre, scandalizzata per quella improvvisa metamorfosi.

“Andiamo a spasso, Ugo” disse Olga con un sospiro.

E mentre scendeva le scale con il bassotto al guinzaglio, incominciò a declamare ad alta voce: “Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago, a me sì cara vieni, o Sera…”

Menotti Santarosa entrò in sala professori alle undici in punto. Si tolse il cappello e lo appese all’attaccapanni. Poi aprì il suo cassetto personale e ci infilò un sacchetto di croccantini per gatti, che aveva appena acquistato nel negozio vicino al liceo.

“Senofonte sarà contento: il paté di tonno e gamberi è la sua passione.”pensò fra sé e sé.

“Professore, mi scusi, la vuole il Preside…” mormorò timidamente Mara, la bidella dal pantalone leopardato che assomigliava a Moira Orfei.

“Eccomi!” rispose Santarosa, avviandosi verso la presidenza, con il passo baldanzoso di un guerriero macedone.

Quando il professor dottor Attilio Ruggero Aldrovandi , dirigente scolastico del liceo classico “Lorenzo Viani”, lo vide entrare, non riuscì a dissimulare un sorrisetto di complice simpatia: “Caro professore, lei mi capisce, io le parlo…così per dovere d’ufficio… E’inutile che le ribadisca la mia profonda stima nei confronti della sua persona, dei suoi metodi didattici, della sua prorompente umanità, della sua versatile cultura…”

“Sì, ho capito, caro Preside, lei mi vuole dire che la Spinelli ha di nuovo dato in escandescenze, perché la disturbo durante le lezioni.”

Santarosa si sedette sulla poltroncina di fronte allo scrittoio dirigenziale, senza nemmeno chiedere il permesso.

Al di là dell’ampia finestra, un pino ricurvo si agitava mosso dal vento che soffiava dal mare. Menotti lanciò un’occhiata distratta verso il cielo grigio. Il rumore di un treno che si perdeva in lontananza gli evocò immagini di mete lontane.

Si rifece il nodo del foulard e si lisciò i capelli grigi con un gesto vanitoso.