Ma per la professoressa Spinelli quella tela esercitava un fascino inspiegabile. Attratta da quella patetica rappresentazione di Amore e Morte, non poteva fare a meno di contemplare le figure esangui e dannate che sembravano fuoriuscire dal quadro e invitarla ad accompagnarle nel baratro.
Ad un tratto, Ugo interruppe bruscamente il filo dei suoi ricordi, fermandosi ad annusare una barboncina di passaggio. Olga tirò stizzosamente il guinzaglio. Il cane si limitò a un flebile mugolio.
Ormai anche il bassotto aveva capito di essere destinato a vivere il resto dei suoi giorni fra i rimpianti, senza nemmeno l'ombra di un rimorso. Proprio come la sua sfortunata padrona.
“Stamani la Spinelli è più incazzata del solito. Speriamo che non mi interroghi sul Parini, sennò il motorino me lo sogno! Al babbo gli ha già detto che, se non rimedio il tre a Italiano, mi boccia.” Il ragazzino con i capelli rossi e le lentiggini si appoggiò al termosifone fuori dall'aula, in attesa che la campanella decretasse spietatamente l'inizio del suo probabile calvario.
“A me, quello che mi manda in bestia è l'atteggiamento. Ti guarda con un disprezzo che fa venire una gran voglia di batterla sul muro e di spiaccicarla come una piattola.” osservò con livore una brunetta con l'ombelico in bella mostra e le orecchie farcite da molti piercing.
In quello stesso istante, dal fondo del corridoio, una fragorosa risata precedette l'arrivo del professor Menotti Santarosa, che entrò nell’aula accanto, circondato da un codazzo di studentesse festose e acclamato dall'intera III B.
“Beati loro…”, sospirò ancora la brunetta, “Io per il professor Santarosa sono pronta anche a studiare la perifrastica passiva!”
“Anche se non la sai, è lo stesso. Quello dà a tutti sette a Greco e otto a Latino. O viceversa. Basta che uno abbia visto “L'attimo fuggente”, che la lettura di Ovidio gli dia le vibrazioni e che gli piacciano i gatti!” ribatté con un pizzico di invidia il rossino.
“In classe, prego!” sibilò, gelida come una vipera, la professoressa Spinelli, apparsa dal nulla con la sua borsa grigio topo in una mano e il registro nell'altra.
Il suo algido sguardo da Medusa non ammetteva repliche. I ragazzi della II entrarono muti nell'aula grigia, mentre dalla stanza accanto giungevano le voci argentine degli studenti di III, che intonavano il solito inno che risuonava come un peana: “Alè Menotti, Alè Menotti...Alè, alè, alè...”
“Per certi colleghi ci vorrebbe l'Ispezione ministeriale. O, meglio ancora, i lavori forzati...” , commentò la Spinelli sbattendo la porta con rabbia.
Gli studenti della II B chinarono il capo all’unisono, percorsi dal consueto tremore che li paralizzava ogni volta che la professoressa d’Italiano, animata da inusitata crudeltà, faceva scorrere con un moto verticale e uniforme il dito ossuto sulla pagina del registro.
“Non ci siamo, no… non ci siamo proprio, Lippi… Non puoi leggere i versi di Ugo come se fossero un rap!”
La Spinelli si era proprio innervosita. Lo si capiva chiaramente non tanto dall’espressione degli occhi, che non lasciavano trasparire alcuna emozione, ma da un’impercettibile smorfia del labbro inferiore, che era solita mordersi nei momenti di massimo disgusto nei confronti del prossimo.
“All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?” recitò con una certa enfasi la professoressa, lasciandosi finalmente andare ad un’emozione, seppur funerea.
Il rossino, ormai rassegnato all’inevitabile tre, fece le corna con la mano sinistra, toccandosi istintivamente le parti basse nel vano tentativo di esorcizzare la sfiga che sembrava trasudare da quei versi e da chi li recitava.
Ad un tratto, un boato di entusiasmo trapassò la parete e dalla classe accanto giunse chiaramente l’eco di un applauso.
La Spinelli tacque improvvisamente. Dopo una frazione di secondo, si precipitò come una furia verso la porta e, senza nemmeno bussare, fece irruzione in III B.
Il professor Santarosa stava seduto sulla cattedra, con le gambe accavallate.
Giocherellando leziosamente con il foulard che teneva al collo, apostrofò ironicamente la collega: “Olga, carissima, vuoi favorire? Prendi un bacio Perugina…come ai vecchi tempi.”
Lei lo guardò con un lampo di odio. I ragazzi tacquero improvvisamente consapevoli che non si trattava di un banale diverbio ma di una sfida epocale.
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