Musicista, performer, pubblicitario, appassionato inventore di thriller e studioso della natura del mondo e di quella delle sue acque in particolare, lo scrittore tedesco Frank Schätzing è uno di quei personaggi che ti piacerebbe continuare a leggere e a intervistare. Infatti le suggestioni contenute in suoi libri fortunatissimi come Il diavolo nella cattedrale, Il quinto giorno, Il mondo d’acqua e Silenzio assoluto, tutti pubblicati in italia dalla Editrice Nord mostrano la sua voglia di non voler essere inscatolato in un genere e l’estrema poliedricità delle sue passioni confermata dallelunghe chiacchierate che ho avuto con lui. E’ difficile trovare un’unica categoria per i suoi libri, si va dal mistery medievale all’eco thriller, dal manuale di biologia marina e cosmica (che tanto piacerebbe a Piero Angela e Stephen Hawkins) alla terroristic novel (degna di sfidare sul campo campioni come Follett, Clancy, Ludlum). Abbiamo incontrato Frank Schätzing in occasione della sua partecipazione a Sanremo al festival Mondomare e ne abbiamo approfittato per pungolarlo ancora una volta.
È vero che alcuni turisti in Sri Lanka si sono salvati dallo tsunami perché era capitato loro di leggere il suo libro Il quinto giorno?
Sì, è vero, e non è accaduto soltanto là. È capitato che qualcuno, proprio la sera prima di quei terribili eventi, abbia letto proprio la pagina in cui racconto cosa capita quando il mare si ritira. Così, quando il giorno dopo hanno visto quel fenomeno, hanno capito quale pericolo rappresentasse. Me lo ha raccontato una cinquantina di persone.
Eppure probabilmente non c’era nulla di programmatico nella sua decisione di scrivere un libro che parlasse anche di maremoti. Se non mi sbaglio, il suo romanzo era nato tutto da un sogno.
Sì, non vado mai alla ricerca delle mie storie, ma aspetto che siano loro a cercare me. In effetti, in quel caso, avevo sognato una grande quantità di esseri marini, spaventosa e minacciosa.
Cosa l’ha sempre affascinata del mare?
Per me il mare è un vero universo, un cosmo che ci avvolge dall’alto al basso. Di fronte ad esso, quindi, si possono avere che due reazioni: la paura o la curiosità. In me prevale la seconda. Inoltre, quando ci si immerge, non è solo un’immersione nell’acqua, ma in un mondo scuro e oscuro, che ti porta verso te stesso, verso un io che, come il mare, è profondo e sconosciuto.
Perché dopo Il quinto giorno ha sentito l’esigenza di realizzare “Il mondo d’acqua”, che non è un thriller, bensì un saggio che narra la nascita della vita e l’evoluzione delle acque sulla Terra?
Erano tanti i lettori che mi chiedevano quale fosse la realtà e quale la fantasia ne “Il quinto giorno”. Allora ho deciso di usare il materiale raccolto per le ricerche fatte per il romanzo e di realizzare un libretto, che invece è diventato un saggio. La documentazione, infatti, era vastissima: avevo interpellato esperti per tre anni e letto moltissimo. Ma la grande sfida non è raccogliere il materiale, bensì capire come funziona un mondo.
Lei è un musicista (con una grande passione per un certo rock progressivo come quello dei Genesis e dei Tangerine Dream) e un performer. Quale suono si immagina abbiano le profondità del mare e quali musiche ha scelto per sottolineare le emozioni dei due suoi libri dedicati al mare quando ne ha realizzato la versione audiobook?
Quando penso al suono del mare mi viene subito in mente il canto delle balene, e così ho pensato di ispirarmi a loro per comporre musica. In occasione di uno spettacolo legato all’uscita de Il quinto giorno abbiamo sperimentato il mix del canto delle balene con la musica di strumenti irlandesi, come la cornamusa. Il risultato è stato sorprendente!
In Silenzio assoluto ha scelto di toccare un argomento spinoso come quello del terrorismo. Perché?
Perché è una realtà che ha a che fare con la nostra epoca, sempre più immersa nell’incertezza e nell’insicurezza. In questi anni, inoltre, abbiamo assistito al passaggio dal vecchio terrorismo, che colpiva in maniera mirata, ad una nuova forma di terrorismo, che si accanisce indiscriminatamente su grandi masse di persone.
In Silenzio assoluto ci troviamo alla vigilia dell’11 settembre, un momento in cui il mondo intero si trova in uno stato di confusione totale e accadono avvenimenti come la guerra del Kosovo. Quello che a me interessava mettere in luce era il nodo intricato di politica, dispotismo e terrorismo che si è realizzato in quel momento e che non può essere districato.
Ken Follett ha sostenuto in un’intervista che gli abbiamo fatto tempo fa che dopo gli eventi dell’11 settembre è molto difficile per gli autori di thriller ipotizzare trame mozzafiato con protagonisti i terroristi, perché la realtà ha davvero superato la fantasia. Che cosa ne pensa?
Sì, è vero, è più difficile, però dobbiamo continuare a scrivere, cercando nuovi spunti, perché il terrorismo è ancora più pericoloso di una volta.
Quanto bisogna essere documentati sulla situazione politica internazionale per poter realizzare un plot come quello di Silenzio assoluto e quanto invece si può volare sulla fantasia?
Quando i fatti veri ci sono tutti e corrispondono, e si hanno ben presenti tutti gli eventi di fondo, si può iniziare a lavorare con la fantasia. Per capire che cosa sta dietro a un fatto importante bisogna leggere moltissimi libri e soprattutto parlare con tanti esperti, e soppesare le ipotesi. La cosa veramente stimolante nello scrivere questo tipo di thriller è che tutto può essere verosimile.
È vero che dopo la pubblicazione del suo libro in Germania sono cambiati i sistemi di controllo di sicurezza dell’aeroporto di Colonia?
No, non è vero, questo libro non è riuscito a fare così tanto! Tuttavia, nel periodo in cui stavo scrivendo il romanzo ero in contatto con la polizia criminale e con i servizi segreti che si occupavano della protezione dei politici; e loro si sono interessati alle armi che intendevo descrivere, perciò ho dovuto cambiare alcuni dettagli, in modo che a qualche lettore non venisse in mente di riprodurle…
Perché ha voluto che il tema del conflitto in Kosovo fosse così centrale nello sviluppo del suo libro?
La guerra in Kosovo è scoppiata poco prima del G8 che si è tenuto a Colonia. Tutti parlavano del Kosovo, ma nessuno conosceva esattamente la situazione di quel Paese. Quando ho iniziato ad approfondire l’argomento, ho visto che nel Kosovo si concentravano gli interessi di tutto il mondo, e ho quindi visto sia una bella trama per un thriller, sia l’occasione per focalizzare i retroscena.
In che modo ha cercato di raccontare anche il cartello di Mosca della mafia russa?
Il tema della mafia russa è marginale perché mi importava raccontare che, a un certo punto, in Russia cade l’ordine e aumenta il potere della mafia. La Russia diventa il crocevia di una serie di transazioni internazionali di cui non si può più seguire il percorso o conoscerne l’origine, e in questo la mafia russa gioca un ruolo enorme. Ma questo non vuole essere l’argomento del mio libro.
Come descriverebbe i terroristi che sono al centro delle vicende del suo romanzo?
Come una specie in via di estinzione. Che tenta, con un dispiego enorme di energie, di uccidere una sola persona. Il terrorismo moderno, invece, per uccidere il Presidente degli Stati Uniti, non esiterebbe a fare saltare il suo aereo.
Le è mai capitato di vedere come il tema degli attentati e dei raid terroristici è sviluppato in un serial di successo come “24”?
Sì. Serie televisive come “24” tentano di intervenire sulla paura e sull’insicurezza che ci può colpire, oggi, in qualunque parte del mondo ci troviamo. Tradurre le nostre paure in immagini serve per liberarcene, è una sorta di catarsi.
Perché ha voluto che il suo thriller, oltre a una grande dose di action e ricostruzione politica, avesse anche una dimensione fantascientifica, o meglio una dimensione scientifica-fantastica?
Innanzitutto, perché la scienza mi ha sempre affascinato, e poi perché se vuoi uccidere il Presidente degli Stati Uniti in visita a Colonia è chiaro che non puoi pensare di arrivare lì e dargli un colpo in testa…
Se dovesse ipotizzare oggi un altro complotto contro il Presidente degli Stati Uniti, chi ne potrebbero essere i responsabili?
Oggi chiunque potrebbe essere coinvolto in un complotto di questo tipo, perché a livello internazionale la situazione degli degli interessi non affatto libera. Se diventasse Presidente Barak Obama, potrebbe trattarsi di islamisti o repubblicani statunitensi, o di qualunque organizzazione fondamentalista.
Comunque dobbiamo ricordarci che nella tradizione delle uccisioni dei Presidenti degli Stati Uniti il grande pericolo risiede all’interno degli Stati Uniti stessi e non all’esterno. Sono sempre stati degli americani a uccidere i loro presidenti.
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