Ritornato fresco fresco (è anche piovuto) dal IV° torneo internazionale di scacchi città di Cattolica, dove le ho prese e le ho date, eccomi di nuovo a contatto con i miei gialletti. Parto da Nero di luna di Marco Vichi, Guanda 2008.
Ora ci sono romanzi gialli più o meno seri e impegnati e quelli più “sportivi”, nel senso che si scrivono proprio per il piacere di scrivere senza tanti arrovellamenti ideologici o sociali. Mi pare che questo di Marco Vichi, fiorentino di razza dannata (sorriso), rientri nel secondo gruppo (se mi sbaglio, scusatemi).
“Emilio Bettazzi, giovane scrittore di Firenze, va ad abitare in una grande casa di campagna che un suo caro amico, prima di morire, aveva preso in affitto. E’ convinto che su quelle bellissime colline del Chianti riuscirà a scrivere un romanzo. Ma fin dai primi giorni gli succedono strane cose. Sente le voci concitate di un litigio provenire da una villa che, a detta di tutti, è abbandonata da anni per via di una vecchia e terribile tragedia. Vede nella notte una sagoma umana mezza nuda che corre nei campi. E scopre che da tempo ci sono delle stragi di galline e conigli che nessuno sa spiegare, nemmeno i carabinieri…”.
E qui Emilio si dà da fare per venire a capo di tutti questi misteri. Indaga di qui, indaga di là, venendo a contatto con gli abitanti tipici delle colline senesi: Marinella che gestisce un negozio di alimentari, alcuni contadini da cui si rifornisce di olio e legna, il parroco Don Staccioni, una bella ragazza minorata, la padrona della villa, la sua nipote, il maresciallo Pontano, il vicesindaco e via di seguito fino ad arrivare al medico Camilla con la quale ha una storia sessual-sentimentale con scopate mica da ridere (un classico) condite da tirate di canna.
Vita di paese con relativa festa del santo patrono, chiacchiere, silenzi, rapporto ormai logoro con i genitori. Qualche gufo e civetta per creare un po’ di atmosfera inquietante. Un giallo "spensierato" (ripeto) pur nella tematica nera del racconto e una frase di Emilio a proposito degli scrittori “Sono tutti un po’ coglioni” che si può anche sottoscrivere. E gli scrittori non se n’abbiano a male.
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