Parliamo di “Bloody Mary”, appena uscito con Edizioni Ambiente. Un piccolo libro frutto di una collaborazione con Marco Vichi che ha per oggetto tematiche forti che sempre più spesso occupano le prime pagine dei giornali: l’immigrazione clandestina, lo sfruttamento degli esseri umani, la violenza alla terra, la malavita organizzata. Ci puoi parlare del progetto in cui questa casa editrice vi ha coinvolto?
E’ stata una sfida che mi ha proposto Marco e che io ho accolto con passione e curiosità: in un pomeriggio abbiamo ideato la storia, poi mi sono lasciato trasportare da un linguaggio e da personaggi per me del tutto nuovi. Tu sai che scrivo romanzi che si ambientano almeno trenta o quaranta anni fa, per non parlare dei thriller medievali: è stato perciò come varcare una frontiera che ancora non avevo affrontato. La sfida è andata bene, sono riuscito a padroneggiare la scrittura della storia e alla fine sono rimasto soddisfatto, tanto che mi è tornata la voglia (antica e mai sopita) di scrivere un romanzo nero contemporaneo.
La storia narra le vicende alternate di due giovani, un polacco che viene da clandestino in Italia e finisce a raccogliere pomodori nel sud e una ragazza nigeriana, violentata e venduta dallo zio, rapita e portata in Italia per alimentare il mercato della prostituzione. Quale dei due personaggi è la tua creatura?
E’ Aleya, la prostituta. La vicenda raccontata è durissima, certi episodi raccontati sono assimilabili a quello che avveniva nei campi di concentramento nazisti. Il nostro obiettivo, mio e di Marco, era di scrivere di certi temi drammatici, di contribuire nel nostro piccolo a non lasciare che l’abitudine, l’assuefazione alle tragedie dei nostri anni sfoci nell’indifferenza e nell’oblio. Al progetto hanno aderito molti altri colleghi scrittori, giovani e meno giovani fra cui Loriano Machiavelli, Sandrone Dazieri, Giacarlo De Cataldo. Wu Ming, Simona Vinci, Piero Calaprico.
Parliano ora di “Musica nera”, il tuo ultimo romanzo della serie che ha per protagonista il capitano Arcieri. La scelta del titolo è emblematica. Si parla di jazz e la vicenda è suddivisa in Tempi, e a ogni Tempo corrisponde una grande canzone jazz. In più, uno dei protagonisti è un vecchio trombettista famoso negli anni’30.
Perché questa scelta?
È difficile dire perché si sceglie un tema, o un personaggio, o uno stato d’animo, quando si affronta la scrittura di un romanzo: quasi sempre c’è un’idea “forte” che si impone da sola, fra i tanti spunti che la vita e la memoria ci propongono ogni giorno. A quel punto si cerca di assecondare la storia che prende forma, rendendola compatibile con una trama logica, ma lasciando che il fiume, per così dire, ci trasporti nella sua corrente. Stavolta è stato proprio il jazz, uno dei miei grandi amori, a prendermi per mano: volevo vedere fino a che punto potevo conciliare una vicenda thriller, al limite dello spionaggio, con il ritmo sincopato (e con l’improvvisazione!) del jazz. Non so se l’esperimento è riuscito, ma in “Musica nera” batte sicuramente il mio cuore, al tempo di uno standard di Duke Ellington…
“Musica nera” è l’avventura versiliese del colonnello Bruno Arcieri, pensionato ultrasessantenne ma sempre molto attivo. La storia inizia con la morte di un ex ammiraglio in pensione, sulla quale Arcieri ha qualche dubbio e con il mistero di alcune donne vestite di nero che guardano immobili verso il mare. L’indagine riporta il protagonista ai tragici eventi del 43/44. Perché la scelta di tornare anche in questa avventura di Arcieri agli anni della guerra, scenario di molti tuoi romanzi?
Nei miei romanzi ci sono sempre due piani di narrazione: il passato in cui si svolge la vicenda narrata e il passato remoto del mio personaggio, Bruno Arcieri: il “nocciolo” di questo altrove temporale è sempre il giro di anni fra Fascismo e Seconda Guerra Mondiale. “Musica nera”, ambientato nella Versilia nel 1967, è un po’ il seguito de “L’angelo del fango”: anche quel romanzo, che si svolgeva durante l’Alluvione del ’66, affondava le sue radici nelle vicende di Salò.
Qui, in più, ho voluto affrontare il tema della vecchiaia: quella del mio personaggio e di tutti quelli che gli stanno intorno. Tutto riporta a un passato condiviso: la musica, il vecchio trombettista, le donne in nero sul pontile. La storia principale si intreccia a molte altre i cui fili ci riconducono ai tragici fatti che seguirono l’armistizio.
In tutti i tuoi libri c’è una ricostruzione d’ambiente “viscontiana”, meticolosa in ogni minimo particolare: dall’arredamento all’abbigliamento, alle attrezzature per immersione, alle barche per non parlare della musica, vera e propria colonna sonora del romanzo.
Come ti documenti su tutti gli aspetti della vita di quel periodo?
La ricostruzione degli aspetti della vita di un preciso momento storico serve in prima battuta a me per immergermi in quegli anni e, di conseguenza, nelle vicende che narro. Devo essere coinvolto in pieno, “sentire” la storia come se la vivessi in prima persona. Per quanto riguarda la documentazione, io sono un grande collezionista di tutto quello che fu stampato degli anni 30/40: ho cominciato con i fumetti e poi ho continuato con le riviste dell’epoca. Le mie raccolte sono una grande fonte di informazioni e spunti da cui parto quando inizio un romanzo.
Cosa hai in cantiere attualmente?
Un nuovo romanzo storico ambientato nella Firenze cinquecentesca che è un po’, ma solo un po’, la continuazione de “Le ossa di Dio”. Ma su questo non posso dire assolutamente altro.
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