L'hai scelto tu il gioco, avrebbe detto papà mio.

Si era seduto a un tavolino della saletta interna, anche se era un peccato non stare all'aperto in un pomeriggio come quello. Per quel che me ne poteva importare.

– L'ho trovata, cioè, non proprio.

Non aveva perso l'abitudine di tirarsi quella barbetta indecente.

– Chi hai trovato, cioè non proprio?

– La ragazza, Najat. L'ho vista ieri e per dirla tutta, è lei che ha trovato me.

– Dove? – sentii l'adrenalina che si metteva in circolo, facendomi quasi dimenticare i miei problemi.

– Mi aspettava qui davanti, questa mattina. È probabile che qualche volta mi ha visto con Fuad e deve aver capito che eravamo amici, così è venuta da me per chiedermi sue notizie.

Spalancai gli occhi stupita.

– Notizie di Fuad? Ma se era scritto su tutti i giornali della disgrazia, dove vive questa?

Smise di tirarsi la barba e mi guardò come se avessi detto qualcosa di straordinariamente intelligente.

– È questo il punto. Mi è sembrato che non sapesse niente di niente e non solo di Fuad, di tutto.

Rimasi zitta a pensare.

– Io ho un'idea – azzardò il ragazzo, dopo essersi schiarito la voce.

– Anch'io, ma dimmela prima tu.

– Forse la tengono chiusa da qualche parte, non le lasciano avere contatti. Forse è lei la persona che Fuad voleva aiutare.

– Potrebbe e potrebbero essere questi i guai in cui si è andato a cacciare – richiamai l'attenzione di un cameriere. – Vuoi qualcosa?

– Una coca.

Aspettai che arrivasse insieme alla mia camomilla, poi ripresi il discorso.

– Adesso racconta e non dimenticare niente.

– Mi ha detto che non era venuto a un appuntamento ed era preoccupata.

– Le hai spiegato quello che è successo?

– Sì, è andata fuori di testa. Aveva paura, si vedeva e sarebbe corsa via se non l'avessi trattenuta.

– Bravo – gli sorrisi, – forse lei è l'unica che può aiutarci.

– Le ho detto che devo rivederla e che anche lei avrebbe avuto bisogno di parlarle, non è stato facile, anzi, ero sicuro di non farcela, ma sono riuscito a convincerla e domani ci vediamo.

Quel ragazzino con la barba da capra cominciava a piacermi.

– Dove?

Mi fece il nome di un paese vicino.

– Alle quattro del pomeriggio sarà in piazza, dovremo seguirla senza farci notare.

Mi alzai e lui fece altrettanto.

– Va bene, a questo punto non ci resta che aspettare domani. Passa in agenzia alle due.

Mi strinse educato la mano, raccolse i libri e si avviò.

– Senti – lo richiamai, – com'è che ti chiami?

– Pablo.

Considerai che era un nome parecchio strano.

– Tu sei matta.

Catia lo pensa sempre di me, ma questa volta sembrava molto più convinta e molto più arrabbiata.

– Ti vai a ficcare in un vespaio e ci trascini quel ragazzetto più morto che vivo – non l'avevo mai vista sbattere tanto forte i suoi amati appunti. – Sai cosa vi fanno se vi scoprono?

– Ma perché dovrebbero farci qualcosa? Incredibile, vai al corso di hennè e ce l'hai con gli arabi.

Respirò a fondo e con tutta probabilità, contò fino a dieci.

– Non sto dicendo che tutti gli arabi della comunità vi trasformeranno in un piatto di kefta, sto dicendo che, se la ragazza è la chiave della morte di Fuad, chi le gira attorno, arabo o non arabo, è pericoloso e molto. Ragiona almeno una volta in vita tua.

– Ci vado.

Catia soffiò come una foca e contò, quasi di sicuro, fino a venti.

– Vengo con voi.

– Scordatelo. La ragazza è già abbastanza spaventata, se vede te con quella faccia da vigile, taglia e buonanotte.

– E come credi di arrivare fino a lì? Tu non sai guidare e il tuo dottor Watson non penso abbia uno straccio di veicolo – concluse con aria sprezzante.

– Andiamo con la corriera.

Alzò le mani e due malloppi di fatture.

– Mi arrendo, fai come ti pare e io me ne starò qui a cercare di non uccidere la signora Pecchioli della quale tu ti dovresti occupare – riabbassò le braccia. – Hai sentito Andrea?

Era una domanda vigliacca, un colpo basso, quello che nessuno ha il coraggio di darti, a parte un amico.

– No.

– Emma, se è un suicidio ti riuscirà benissimo.

– Non c'entra niente.

– Va bene – sospirò, – io proverò a tenere per me quello che penso della signora Pecchioli.

– Poi telefono.

– Lo spero.

– Telefono. Giuro.

– E com'è che si chiama il bambino?

– Pablo.

– Che nome.

Sorridemmo.