– Marocchini, credo. Ma non regolari e nessuno di quelli che frequentano qui. Gliel'ho detto, poco raccomandabili.

Il fumo pesante della sigaretta mi aveva fatto venire il mal di testa, ma non avevo ancora finito.

– Conosci una ragazza che si chiama Najat?

Scosse la testa.

– Va bene – mi alzai in piedi, – può essere che avrò ancora bisogno di te. Per adesso ti dico solo che se vengo a sapere, solo a sapere, che voi grand'uomini state propinando a qualcuno lo stesso servizio che avete fornito a Fuad, vi faccio sbattere dentro e sarà mia cura assicurarmi che abbiate a pranzo e a cena carne di maiale. Ogni maledetto giorno.

Mi lanciò una di quelle occhiate storte che gli riuscivano così bene.

– Lei si crede nel giusto, vero, signora? Allora provi un po' a pensare come ci si sente a vivere in un paese che non è il tuo, dove è difficile comprendere anche le cose più semplici. Provi a pensare cosa vuol dire non riuscire a ridere a quello che fa ridere gli altri e non perché sei stupido, ma perché non capisci cosa c'è da ridere; provi a sentirsi per cinque minuti come noi, estranei nel mondo dei nostri genitori e rifiutati dal mondo in cui ci ritroviamo a vivere. Abbiamo bisogno di qualcosa. Le chiami tradizioni e dica che sono stupide e sbagliate, lo dica. Forse lo pensiamo anche noi, ma è l'unico modo che abbiamo per sentirci la terra sotto i piedi.

Si allontanarono in silenzio per un tratto, poi Kamal si girò verso di me.

– Najat è un nome marocchino – fece lampeggiare il suo bel sorriso. – È comune, proprio come Kamal.

Li guardai, uniti e compatti, un piccolo esercito solitario e disperato.

* * *

Ero in piedi nel soggiorno di Paddy, un bicchiere d'acqua in una mano e il post–it rosa nell'altra.

– Fuad non ti ha mai parlato di nessuna Najat, allora.

Paddy scosse la testa. Guardava fuori dalla finestra, ipnotizzato dalla strada assolata; non si era fatto la solita coda di cavallo e portava gli stessi vestiti di due giorni prima, sul divano avevo visto un cuscino e un lenzuolo stazzonati. Senza voltarsi parlò, quasi mi avesse letto nel pensiero.

– Non posso dormire in camera da letto.

– Certo, non ti preoccupare.

– Non credo ci riuscirò mai più.

Raccontagli una balla, coccola.

Non posso, papà.

Prova.

– Non fa niente, Paddy, va tutto bene.

– Ogni volta che entro è come se lo trovassi morto; non è un ricordo, è come se accadesse di nuovo, ogni volta.

Cercai di bere un sorso d'acqua, avevo sete, ma non riuscivo a buttar giù niente.

– È tutto a posto, se vuoi dormire qui, chi se ne frega, va bene così. A me va bene tutto quello che va bene a te.

Restammo zitti, ognuno coi suoi guai, io che non riuscivo a inghiottire, lui con l'amore della sua vita sul tavolo dell'obitorio.

– La polizia dice che non l'ho ammazzato io.

– Splendido.

– Dice che si è fatto una dose troppo forte – si girò verso di me. – Dice che sono a posto e che tra due giorni posso fargli il funerale. Vedi come sono fortunato?

Posai il bicchiere e la diedi vinta al mio stomaco.

– Cosa ti hanno detto all'università? – mi chiese.

– Che non seguiva le regole.

L'ombra di un sorriso lo fece ridiventare il Paddy della settimana precedente.

– Ricordi cosa ti ho detto dell'irish coffe? Ci sono tre regole e se non le segui...

– Stavolta non va così.

– Va sempre così.

– Stavolta va come dico io.

Scesi due rampe di scale, poi mi sedetti su un gradino. Se non segui le regole sei fritto. Papà, aiutami che è dura.

Il cellulare mi fece venire un colpo.

– Un ragazzetto ti ha cercata – mi disse Catia.

– Uno con un bel sorriso?

– No. Uno che si tira una barbetta atroce e sembra sul punto di morire.

– Ho capito – mi alzai aggrappandomi al corrimano, – ma come ha fatto a trovarmi?

– Guarda che siamo l'unica agenzia investigativa della città, non ci vuole un'aquila.

– Che ha detto?

– Aspetta – sentii che raspava nella sua moltitudine di appunti. – Ti aspetta alle diciassette nel bar di fronte all'università perché ha delle cose importanti da dirti.

– Va bene, ci vado.

– Ha chiamato la signora Pecchioli, voleva sapere come procedono le indagini. Che le dico?

– Che vada al diavolo.

– Ok, le dirò che le indagini proseguono a tutto tondo.

Avevo un'ora e un bisogno tremendo di Andrea. Lo chiamai solo per sentire che l'utente non era raggiungibile e per farmi crollare addosso, tutto in una volta, dolore e stanchezza.