Mi infilai veloce nel suo minuscolo ufficio e come ogni volta, mi chiesi come faceva Paddy a muoversi in quei cinque centimetri quadrati.

Mentre aspettavo la connessione, lo sguardo mi cadde sui libri di architettura di Fuad accatastati sul tavolo, ne presi uno, quello in cima, un librone grosso che mi scivolò di mano e fece franare tutti gli altri.

– Ecco, se non combino disastri, non finisco la giornata.

Mi inginocchiai e cercai di risistemare i volumi nella pila ordinata che c'era prima, ma un quaderno di appunti mi si disfò in mano sparpagliando pagine su tutto il pavimento.

Sbuffando, perché mi stavo stropicciando il vestito, allungai il braccio sotto uno schedario di ferro.

– Che cosa se ne fa Fuad di tutta questa roba... ahia.

Mi ero graffiata la mano su di uno spigolo vivo, ma ero riuscita a recuperare tutte le carte e pensai che Fuad e Catia erano due anime gemelle, almeno per quanto riguardava la quantità di fogli di cui avevano bisogno, poi vidi una cosa.

Sopra lo schizzo di una bifora c'era attaccato un post–it di quelli rosa fluo, quelli che piacciono a me, con scritto un nome, Najat e un orario, quindici e trenta.

E di nuovo la stretta sgradevole allo stomaco.

Non ci feci attenzione, però, perché avevo un occhio sullo schermo del computer e quell'occhio mi diceva che era arrivata posta, finalmente.

Era una bella email e la lessi così tante volte da dimenticare il foglietto rosa con quel nome, in fondo non non mi dicevano niente.

Andandomene, salutai Paddy da lontano e cercai di farmi notare da Fuad, ma se ne stava in un angolo a parlare fitto e non mi vide. Per un momento pensai di avvicinarmi e ricordargli quello che ci eravamo detti, ma lasciai perdere, dovevo correre a casa e poi ero troppo felice, cosa può succedere di male quando si è troppo felici?

Le intuizioni, diceva papà mio, ascoltale, maledizione.

Già.

Credo mi ci vorrà molto tempo per perdonarmi. Di essere stata così stupida e poco attenta, di non aver capito.

Ce ne vorrà molto di più per riuscire a dimenticare lo sguardo che aveva Fuad quella sera. Lo sguardo di un uomo pieno di paura.

* * *

Con i se e con i ma mi bevo l'oceano, diceva papà mio.

Se fossi stata più sveglia, se avessi dato retta al mio stomaco, se fossi stata meno distratta.

Ma ero innamorata, ma non credevo, ma non pensavo, ma ma ma.

Ma era andata così.

– No, signora Pecchioli, per ora non c'è nessun fatto.

Allontanai il cellulare dall'orecchio e tolsi la brioche dal forno.

– Palmiro, al momento, non vede altre donne. Lo so che è delusa, ma cosa vuole che le dica?

Sorseggiai il mio tè e cercai di concentrarmi sulle divagazioni del vagone che singhiozzava dall'altra parte della cornetta.

– No, signora Pecchioli, non la prendo in giro. È solo che suo marito non ha una relazione e le garantisco che non sono in grado di pestarlo. Al massimo potrei fargli lo sgambetto e mi farei male io, soprattutto se mi cascasse addosso. Buon giorno, signora Pecchioli.

Niente poteva rovinarmi quella mattina dorata, degno seguito della dorata giornata precedente, nemmeno quella lagna della Pecchioli con tutte le sue fantasie adultere. Povero Palmiro.

Mentre chiudevo la porta di casa mi ricordai che Fuad sarebbe dovuto venire in agenzia il giorno prima, ma non si era visto. Un lampo di inquietudine mi attraversò la testa, ma sparì subito; un contrattempo capita, sarei passata al locale e avrei sistemato tutto, un contrattempo capita, non vuol dire che sia grave.

Il bar era vuoto.

– Voi due, smettetela di fare porcherie sotto a qualche tavolo! Guardate che chiamo la buoncostume.

Paddy spuntò dai bagni, tanto pallido da spaventarmi.

– Cristo, che è successo? Hai un'aspetto orribile.

– Grazie – si sforzò di sorridere, – è bello avere degli amici che ti tirano su di morale.

Non mi andava di ridere alle sue battute, non quando era chiaro che lui non aveva voglia di farne.

– Hai l'influenza?

– Non credo.

Gli toccai la fronte per vedere se aveva la febbre. Era gelato.

– Non avrai per caso litigato con Fuad.

– Tu sì che sei un grande investigatore.

Tirai un sospiro di sollievo, un litigio tra innamorati non ha mai ammazzato nessuno.

– È qua?

– No.

Non mi piacque la sua voce e di nuovo il mio stomaco provò a dirmi qualcosa che io non capii o ignorai.

– Appena vi parlate di nuovo gli ricordi di venire da me? Avevamo una specie di appuntamento, ma non si è fatto vedere.