Pali, seghe, gabbie, asce, funi, chiodi, ruote, carrucole. Per riuscire a spremere il dolore dalle membra e dall’anima di una vittima si potrebbe pensare a chissà quali fantasiose macchine partorite dall’ingegno umano. Più avanti, col trionfo della tecnologia, a un elettricista o a un maldestro cavadenti. E dunque il bacio della vergine e la maschera d’infamia, l’ordalia del fuoco e quella dell’acqua, il piffero del baccanaro e la lingua di capra. Nomi o nomignoli che oggi, allontanati ormai da noi dolori e morte, ci fanno francamente sorridere o tutt’al più pensare a strani marchingegni esotici. E squartamenti, colate di liquidi bollenti, lussazioni, fratture e poi scosse elettriche, affogamenti interrotti, false fucilazioni. Tutte tecniche sviluppate e perfezionate ulteriormente nell’arco di secoli, che rivelano alla fine i propri scopi. Scopi sempre legati a un potere che, legalizzato o no, cerca la confessione, la conversione o semplicemente la sottomissione della vittima. Fino al paradosso. La Chiesa dei martiri e quella degli inquisitori. La storia, diventata leggenda, di Vlad III Draculea, imparziale impalatore di cristiani, turchi e briganti. L’annunciazione per legge al condannato della data – persino l’ora e il minuto – della propria condanna a morte. Un dolore che dura secoli narrato senza moralismi. Forse solo con un pizzico di ironia per non finirne travolti.

Giovanni Laterra (Bari, 1957) si occupa di storia del territorio e di storia delle armi. Ha pubblicato, con altri autori, i volumi Sento ancora. Cronaca e storia della prima metà del secolo XX nella memoria di un lavoratore del porto di Livorno e Livorno: una città sul mare. Collabora con la rivista Diana Armi. Vive a Livorno.

Storia della tortura (Olimpia) di Giovanni Laterra - 152 pp. - € 15,00