Un noir come Dio comanda ambientato a Bruges non s’era ancora visto…
Ci ha pensato Martin McDonagh con il suo In Bruges – La coscienza dell’assassino, storia di due killer che rei di aver provocato durante un omicidio su commissione la morte di un bambino, vengono temporaneamente parcheggiati nella città belga, città che mentre suscita la più sentita ammirazione di Ken (Brendan Gleeson), risulta fortemente indigesta a Ray (Colin Farrell). Tanto il primo è catturato dal fascino delle cattedrali gotiche (una ski-line di tutto rispetto…) e dai canali che la solcano, tanto il secondo si annoia a morte e non vede l’ora di sbaraccare. A spedire i due a Bruges, Harry (Ralph Fiennes), boss della malavita londinese mellifluo ma con un sottofondo di pericolosità da non trascurare e che nonostante sia “fuori campo” per gran parte del film, suscita, quando appare, un perenne senso di inquietudine.
Ne accadranno di cose in quel di Bruges, certo più cose di quanto la nostra filosofia ne possa immaginare: scherzi del destino che riportano indietro chi vorrebbe fuggire, amori che nascono nell’inganno, risse in ristoranti, impegni traditi a fin di bene esattamente da chi ti aspetteresti, promesse rispettate da chi non ti aspetteresti, mentre nani americani, e che di questo si scusano (di essere americani non di essere nani…), strafatti di anestetici per cavalli, attraversano la storia preconizzando tempi bui, per terminare con interrogativi escatologici di fronte al Giudizio universale di Yeronimus Bosch.
La regia di McDonagh sa come tenere alta la tensione e soprattutto non teme una sequenza vicina all’infinito, ogni qualvolta c’è un dialogo, non di primi ma di primissimi piani che riempiono lo schermo senza stancare mai.
Molto da vedere, magari anche per scoprire come scendere nel modo più rapido possibile da un campanile…
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