“Un buon indiano è un indiano morto. E a Marsiglia erano tutti indiani”
Entrare nella narrazione di Jean Claude Izzo ha un prezzo. Non indifferente tra l’altro.
La prosa spezzata dell'autore marsigliese mette alla prova, l’io narrante prepotentemente in primo piano chiede di essere ascoltato e creduto, ancor prima di essere conosciuto. Non ci si può arroccare in un atteggiamento critico e distaccato da lettore incallito di fronte alle prime pagine di Casino Totale, quando Izzo ci presenta Ugo, Manu e Fabio: c’è una cambiale in bianco da firmare per entrare nella singolare dimensione narrativa di questo romanzo e dei successivi. Una cambiale che viene ripagata con circa novecento pagine che conducono a sfiorare “la parte più infima della schifezza del mondo”. Toglie parole anche al recensore, Izzo, quando nell’incpit di ogni capitolo riassume, con epigrafi che da sole varrebbero la lettura, lo spirito e l’anima del suo racconto dove, appunto, “l’unica trama è l’odio del mondo”.
Fabio Montale, quasi criminale e poliziotto prima, ex-poliziotto e cittadino poi, è un personaggio atipico, solo apparentemente semplice (è un poliziotto di quartiere tutto sommato) e parente di tanti altri “perdenti”, e solo apparentemente guidato da un “normale” senso di umana giustizia e onore.
Ma, evidentemente, le apparenze ingannano. La vicenda di Ugo e Manu, amici di infanzia, compagni di scorribande delinquenziali, falciati dalla vita prima ancora che dalla malavita marsigliese, gli amori con Lole e la cugina Gelou, né impossibili o meno ma semplicemente rovinati, il rapporto paterno e straziante con la tossicodipendente Pavie… la via crucis noir di Fabio Montale non ha niente di semplice e lineare. E se effettivamente l’odio del mondo è l’unico motore capace di governare gli eventi, è l’umanità del protagonista, l’assoluta verità dei suoi sentimenti, delle sue reazioni a dominare la scena.
Non c'è da stupirsi se dopo le prime pagine si inizia a fantasticare un approdo al porto di Marsiglia, o ad annotarsi mentalmente i poliedrici gusti musicali di Montale o i suoi gusti alimentari. Il primo e più stupefacente risultato della narrativa di Izzo è infatti quello di imporci la presenza fisica, reale e vera del suo protagonista: e non si tratta (come in Montalban ad esempio) di una ricetta ben costruita e orchestrato a base di gastronomia e cultura. Piuttosto la trasposizione completa su carta dell'umanità tormentata e intensa di un personaggio del quale è veramente difficile non immaginare un corrispondente in carne ed ossa: ci interessa capire che album sia Sketches of Spain per conoscere meglio un amico, per capire meglio perché, in quel preciso momento, abbia avuto il desiderio di ascoltare proprio quello.
Fabio Montale, una gioventù traboccante di spettri vissuta al confine con la delinquenza (e oltre), poliziotto di quartiere lontano dai casi ufficiali, dalle indagini, dal lavoro di squadra, si ricava così uno spazio vitale dolorosissimo e perennemente a rischio tra boss della mala locale, colleghi (pochi) stimati e poliziotti sporchi. Con grande maestria e con una sapienza narrativa apparentemente istintiva Izzo costruisce i tre episodi della trilogia in modo fortemente compatto: quasi impossibile interromperne la lettura, quasi impossibile ritardare la chiusura inevitabile e durissima dell’arco narrativo.
La storia criminale, la storia sociale e urbana e quella personale del protagonista si saldano, si confondono fino a sintetizzare in un unico intreccio la natura più alta del noir inteso come narrazione del disagio, delle violente differenze.
L’impatto emotivo potentissimo della narrazione relega in secondo piano i piccoli cedimenti di stile (in particolare in
Solea, il più veloce e violento della serie, l’intenzione di colpire allo stomaco il lettore emerge con evidenza a tratti eccessiva), le piccole imperfezioni nella costruzione dell’intreccio (che, in
Chourmo in modo particolare, si complica e si sfuma fino ad essere poco riconoscibile).
Rimane indelebile nella mente il ricordo di Fabio Montale, come di un conoscente, di un amico sfortunato, e il desiderio esotico di una Marsiglia totale, definitiva e nerissima dove “la notte è sempre la stessa e l’ombra, nell’acqua, è l’ombra di un uomo consumato”.
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