Per chi volesse approfondire l’argomento Yakuza sulla pagina scritta restano due strade, una delle quali piuttosto tortuosa e difficilmente praticabile. I romanzi di Goro Fujita e decine di altre storie ispirate al mondo dei mafiosi tatuati sono disponibili in giapponese, di certo recuperabili attraverso qualche sito Internet o, ancor meglio - se uno ne ha l’occasione - nelle librerie locali. Sempre ammesso che uno riesca a procurarseli dovrebbe conoscere anche il giapponese…
Fortunatamente l’argomento ha sempre avuto un notevole appeal sul pubblico occidentale stimolando più che la traduzione di lavori originali, testi, romanzi e fumetti ispirati all’ambiente ed è questa la via più semplice per trovare libri e saggi sull’argomento.
Giusto per compiere i primi passi e approfondire quanto di storico abbiamo elencato nelle puntate precedenti suggerirei a tutti di farsi un bel giro tra le bancarelle di libri usati (dubito che il volume sia ancora in catalogo) e recuperare Yakusa di Alec Dubro e David E. Kaplan tradotto in italiano per le edizioni Comunità almeno una quindicina d’anni fa che rappresenta il primo vero studio occidentale sul fenomeno arrivato in Occidente. Non stupisca di trovarvi nozioni ormai diffuse dal cinema e a conoscenza un po’ di tutti proposte come rivelazioni: siamo ancora ai tempi in cui si negava l’esistenza di mafie locali al di fuori di quella siciliana.
La nozione di una malavita autoctona con codici e gerghi veniva semplicemente rifiutata dalle autorità e lo sforzo degli autori era proprio quello di convincere che, attraverso le Hawaii, gli USA stavano subendo una vera e propria invasione a livello finanziario e malavitoso da parte di gruppi legati alla ultradestra giapponese.
La lettura di questo saggio è un buon punto di partenza per capire meglio in fenomeno e valutare libri e film che spesso ne hanno modificato certe caratteristiche per renderle più appetibili al pubblico. Restando in Giappone qualche appassionato sarà sicuramente in grado di recuperare due saghe dedicate alla malavita che hanno avuto anche una versione italiana. Stiamo parlando del Killer Golgo 13, pubblicato nella versione manga (a fumetti) e in una serie di episodi anime (cartoni animati) che non dovrebbe essere difficile reperire. Il personaggio nasce nel 1969 e viene realizzato da Takao Saito. Si tratta di storie violente, rappresentate con quello stile secco, cinematografico tipico di questi prodotti nipponici. Il protagonista è un killer, non esattamente uno Yakuza ma spesso implicato in storie noir legate alla malavita organizzata. Forse più celebre, anche perché più recente è il personaggio di Crying Freeman popolare sia nei fumetti che nei cartoni animati ma protagonista di almeno tre film di successo dei quali due (Killer’s Romance e Dragon from Russia) prodotti a Hong Kong.
La versione più fedele e migliore l’abbiamo già citata parlando di cinema ma vale la pena di ricordare l’adattamento che del Freeman ha realizzato Christope Gans che ha trovato una perfetto connubio tra immagine a fumetti e realizzazione cinematografica come si vede nell’immagine proposta in questo articolo. Il personaggio, creato da Kazuo Koike e realizzato da Ryoichi Ikegami (autore anche di un altro fortunatissimo Gikiga, “fumetto di azione realistica” Sanctuary sempre di argomento Yakuza), rappresenta una variante più romantica dello spietato assassino di Golgo 13.
È sì un killer ma condizionato come “arma finale" della triade cinese dei 108 Dragoni contro la mafia giapponese.
Schiavo del suo condizionamento eppure legato alla sua umanità, il sicario si lascia sfuggire una lacrima dopo ogni omicidio. È così: selvaggio e fragile che lo vede la pittrice Emu. Condannata per il solo fatto di aver visto il suo volto la giovane, vergine, delicata, la tipica eroina manga, riuscirà a stabilire un rapporto particolarissimo con il Freeman, diventando sua complice e al tempo stesso liberandolo – letteralmente - dalle catene impostegli dai suoi padroni. Sottigliezze psicologiche e violenza che si perdono nei film quanto nelle versioni a cartoni animati ma si colgono in pieno nella lunga versione a fumetti pubblicata quasi integralmente da Granata Press un po’ di anni fa e sicuramente ancora reperibile.
Il fumetto d’avventura occidentale ha spesso raccolto le suggestioni del mondo della Yakuza, mediandole dal cinema. Inutile quindi citare le numerose riscritture ispirate al film di Pollack (Yakuza) o a quello di Scott (Black Rain), meglio rivolgersi verso una produzione, derivativa ma ben documentata e realizzata con una certa originalità. Stiamo parlando di Yakuza, pubblicato in Francia per Soleil sceneggiato da Corteggiani e disegnato dall’italianissimo Barison. Nella sua raccolta di saghe sulle varie mafie (da quella siciliana, Il silenzio e il sangue a quella russa, Le Sceau de Cain) Corteggiani ha realizzato per ora solo tre episodi dedicati alla mala giapponese.
Pur attenendosi a tutta l’iconografia del genere la sua Tokyo appare realistica, moderna e il legame tra la malavita e la setta dell’Aum Shinkiryo denota quantomeno uno sforzo di documentazione e aderenza alla realtà. Per chi invece volesse trovare il mondo della Yakuza tra le pagine di un romanzo non mancano le occasioni. Doveroso citare per primo Eric van Lustbader autore che, all’inizio degli anni ’80, godette di una notevole notorietà proprio grazie alla serie Ninja e ad altri numerosi romanzi ambientati in Giappone o comunque in Estremo Oriente. Lustbader, che prima di diventare narratore era produttore cinematografico, s’intende di cultura nipponica e sicuramente si è ben documentato sul testo I segreti dei samurai di Oscar - Ratti(disponibile anche in italiano nelle edizioni Mondandori) due dei più attendibili storici della tradizione guerriera giapponese nonché maestri di Aikido, arte marziale che l’autore dimostra di conoscere piuttosto approfonditamente. In realtà il suo ciclo di avventure basato sulla figura di Nicolar Linnear, il Ninja bianco, tocca tangenzialmente ma con una certa frequenza il mondo della Yakuza. Preferisce addentrarsi più nei meandri delle avventure dei Ninja che erano sì malavitosi ma con una tradizione differente dagli Yakuza, in quanto derivata dagli Yamabushi, i guerrieri della montagna che erano, per la verità, dei preti guerrieri. Lustbader ha approfondito i legami con la Yakuza soprattutto in un romanzo fuori serie Zero, ma nella trilogia finale del suo eroe (Tanjian, Kaisho e Kshira) troviamo episodi e figure ben documentate. Poco conosciuto in Italia ma,
a mio avviso, uno dei migliori e più informati scrittori americani del filone è Marc Olden, prolificissimo autore anche di spy story e horror gotici (se mai vi capitasse di mettere le mani su Poe Must Die del 1978, non perdetelo, è un piccolo capolavoro) che ho avuto il piacere di tradurre per Segretissimo ormai una decina d’anni fa con il romanzo Kisaeng centrato sulla malavita coreana e il traffico di soldi falsi. Prima di questo però Olden aveva pubblicato un consistente numero di titoli di ambientazione giapponese: Giri, Dai-sho, Gaijin, Oni.
Sono tutte ottime storie, forse ancora migliori di quelle di Lustbader e, forse per la concomitanza dell’epoca e la maggior fortuna della serie Ninja, non trovarono spazio in Italia. A me rimane una collezione di paperback in inglese che ritengo fondamentale nella mia formazione di scrittore. Ottimamente documentati, moderni nel ritmo e nell’intreccio, credo di averli letti almeno due o tre volte tutti apprendendo sempre qualcosa. Olden ormai sembra uscito dai cataloghi delle case editrici anche straniere, forse ha smesso di scrivere, in ogni caso i suoi ultimi romanzi The Ghost (tradotto in Italia con Il Cuore nero di New York, Sperling) e The Exchange Students pur restando ottimi thriller avevano cambiato argomento.
È in Francia che mi è capitato di scovare una serie atipica, molto ben scritta e originale sul Giappone e la sua malavita. Anne Rambach ha vissuto diversi anni in Giappone e ha saputo coglierne gli aspetti più contraddittori. Scrittrice impegnata (si occupa con la sua compagna di narrativa femminile omosessuale) ha creato con la poliziotta Junko Go un personaggio atipico. Junko, lesbica, maniaca delle armi, poliziotta nippoamericana figlia di un politico nipponico e di una donna coinvolta nelle contestazioni degli anni ’70, si ritrova per una sorta di stage a collaborare coi colleghi nipponici che rivelano tutte le loro idiosincrasie, tortuosità e pregiudizi. Dotata di uno stile quasi letterario ma capace di pagine serratissime la Rambach ha composto una trilogia (Tokyo Caos, Tokyo Atomic, Tokyo Mirage) della quale ho tradotto l’unico volume disponibile in italiano (Tokyo atomica per uno speciale di Segretissimo) che consiglio ai lettori più esigenti. Il suo è veramente uno sguardo sul Giappone differente e lontano dai luoghi comuni, senza per questo rinunciare all’azione e all’emozione. Un vero pugno nello stomaco è invece l’ultimo
romanzo di Mo Hayder, scrittrice di thriller sinora lontanissima da tematiche orientali. Conosciuta per Birdman e Il trattamento la Hayder ha una vita quantomeno turbinosa alle spalle, nella quale si distingue anche un periodo trascorso in Giappone.
Questo suo ultimo romanzo, Le notti di Tokyo, affronta con una crudezza che in qualche modo richiama il film di Takeshi Miike, non solo il mondo della malavita giapponese con i suoi padrini intoccabili, le guardie del corpo grottesche(terrificante il travestito-lottatore di sumo che sventra le sue vittime appendendone le interiora come festoni) e i locali notturni descritti con la conoscenza di chi ci ha lavorato, ma si addentra nella ricerca storica su uno degli episodi più oscuri della storia nipponica. Lo stupro di Nanchino, denominazione eponima del libro di Iris Chiang, fu un episodio di violenza collettiva avvenuto nel ’37 e negato sino a pochi anni fa dallo stesso governo di Tokyo. Il romanzo della Hayder fonde un’avvincente trama thriller odierna con la rievocazione di quell’epoca facendo luce senza inutili coloriture su una vicenda che rasenta l’horror. Per ultimo ho tenuto la vera scoperta di questo genere narrativo avvenuta, per me almeno, quasi per caso l’anno passato. Pioggia nera su Tokyo di Barry Eisler è la prima delle avventure di John Rain mezzosangue, assassino, cultore di jazz e di Judo, un tipo strano e decisamente fuori dagli schemi. Al contrario della moda imperante in Giappone si è fatto correggere chirurgicamente la linea degli occhi per sembrare più asiatico e questo è già un punto a favore.
Nel primo romanzo della serie (che in originale era Rain Fall) pubblicato da Garzanti , che si è anche assicurata i diritti per la pubblicazione del secondo(Hard Rain, in libreria nei primi mesi del 2005 non so ancora con quale titolo), ho ritrovato la Tokyo del mio viaggio, dei locali notturni che mescolano tradizioni orientali a un gusto occidentale, insomma uno scenario vero dove anche la Yakuza rinuncia ai suoi aspetti più folcloristici ma rimane un’entità immanente, sempre presente nei maneggi politici e malavitosi del paese. Soprattutto c’è un magnifico duello di Judo al Kodokan (tempio di questa disciplina a Tokyo) tra il protagonista e un capo Yakuza. Il particolare non è da sottovalutare. A differenza del Karate che è una disciplina fatta di percosse o colpi, abbastanza semplice da descrivere, raccontare in maniera coinvolgente e realistica anche per i neofiti un incontro di lotta non è affatto facile ed Eisler si rivela ottimo narratore oltre che conoscitore della materia. Non è solo questo il merito della serie e me lo ha confermato la lettura di Hard Rain, un’altra avventura strettamente legata alla prima dove alla descrizione dei jazz club si passa ai locali per hostess con una dovizia di particolari che denota subito un’esperienza sul campo. E anche qui, un aspetto marziale, non molto conosciuto e lontano dagli stereotipi. Le piccole palestre private, i combattimenti clandestini dove è davvero valido tutto. E le descrizioni di Eisler non sono invenzioni da film alla Van Damme, sono come piccoli reportage sulla vita “nera” di Tokyo, insomma una serie di emozioni che servono da dare credibilità a un romanzo che avrebbe potuto facilmente cadere nel cliché e invece si dimostra attento alla realtà che descrive.
È da tutto questo caleidoscopio di reportage, film, impressioni direttamente raccolte sul luogo, romanzi che una buona parte della mia narrativa personale, quella riguardante il mondo della mala nipponica almeno, ha tratto ispirazione e vigore anche nella recente revisione di Appuntamento Shinjuku che vedrà una nuova versione nella ristampa TEA con il titolo Yakuza Connection. In Giappone però ho ambientato almeno altre due avventure, una del Professionista (Marea Rossa) scritta proprio all’indomani del mio viaggio nell’arcipelago e poi, Il mattino dei demoni, della serie Vlad dove mi è piaciuto fondere l’atmosfera delle ultime novità cinematografiche nipponiche sulla Yakuza con il filone Horror inaugurato da Ring che, ancor più dei film, ha trovato un’ottima espressione nei romanzi di Koji Suzuki. Chi l’ha detto che scrivere non è un’avventura? Della mente prima di tutto, quando si trova uno stimolo nuovo ma anche del corpo nella ricerca, nell’osservazione di luoghi, persone e cose dalle quali alla fine si attinge per poi creare qualcosa di nuovo e personale.
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