Uscito da un coma di 11 anni, Rudy scopre che Angela, poliziotta e sua fidanzata, non è più né poliziotta né sua fidanzata: è diventata magistrato e sta per sposare uno di famiglia, che non è lui. Scopre anche che da lei ha una figlia di 10 anni. E che il suo collaboratore e amico Filo è diventato il direttore del giornale per cui Rudy lavorava, e non è più suo amico. Solo il "muso di faina" di suo padre e la "faccia da sciacallo" di suo fratello sono rimasti identici. Purtroppo. Rudy gira con un badante moldavo e fa fatica a rimettersi in carreggiata. Pensa di non essere più il donnaiolo di un tempo, ma la bellissima Gaia Sapegno, glaciale manager di una finanziaria che concede mutui ai piccoli imprenditori della Costa Smeralda, gli fa cambiare idea. E se tutti sono convinti che non sia più lo spregiudicato cronista di una volta, saranno obbligati a ricredersi. Attore non protagonista in Mi fido di te, torna, principe della scena, Rudy Saporito: spietato ma ingenuo, cinico e divertente. Tra tic linguistici, nuraghe e progetti di eliporti, racconta una Sardegna tutt'altro che tradizionale e stereotipica: saccheggiata dal turismo, cosmopolita e provinciale, antica e contaminata. Dove molti sognano un riscatto economico e troppi vanno in rovina. Dove troppi sono corrotti e quasi tutti scendono a patti. Una Sardegna che è lo specchio dell'Italia.
Acido solforico. Le parole di Francesco Abate sono acido solforico puro: corrodono e squagliano la patina smaltata di quella Sardegna che d’estate diventa zoo di lusso della fauna da Costa Smeralda. Con la sua feroce schiettezza, uno dei tratti distintivi della sua scrittura, Abate svela cosa e chi si nasconde dietro la tanto patinata Sardegna, mostrandoci che anche il Paradiso può essere popolato da diavoli. Ad inondare di acido il quadretto perfetto fatto di vallette, attori, ricchi imprenditori, alberghi e locali di lusso, ci pensa Rudy Saporito, uno dei personaggi più originali e divertenti di questi ultimi anni, già protagonista dell’ottimo Il cattivo cronista e attore non protagonista, ma determinante, nel romanzo di successo Mi fido di te. E Così si dice, è una sorta di ponte tra i due romanzi sopra citati; infatti, dove finisce Il cattivo cronista inizia questo nuovo romanzo di Abate, che si collega infine a Mi Fido di te, ambientato dopo questa nuova avventura di Rudy. Ma chi non ha avuto modo di leggere i romanzi sopra citati non deve preoccuparsi: questo romanzo può essere benissimo letto anche come un fuori serie; difatti la vicenda narrata ha un suo inizio ed una conclusione, e la lettura non è inficiata dal non aver letto gli altri romanzi, perché la storia è talmente serrata e coinvolgente, e il personaggio creato così ad arte che sembra di conoscerlo da sempre. Per chi, invece, ha già avuto modo di leggere gli altri due lavori, questo libro sarà davvero molto prezioso perché si troveranno a che fare con un Rudy molto diverso da quello che conoscevano, perché nel primo romanzo avevano lasciato Rudy in coma, ed ora sono trascorsi…
Undici anni di buio. Quando tutti avevano ormai perso le speranze, Rudy si risveglia. Sembra un miracolo. Non è un miracolo. Non sono stati santi, preghiere o interventi divini a destare il miglior cronista della Sardegna. Non è stato Dio. È stato l’odio. L’odio mischiato ad una bella dose di vendetta. Quella vendetta che è insita nel genoma umano dei sardi. E Rudy non fa eccezione. Ha un debole per la vendetta. Però, il cattivo cronista è cambiato. Questi undici anni l’hanno cambiato sia nel fisico – è preda di un divertentissimo e al tempo stesso tragico tic alla mano destra – che nell’animo. L’hanno reso apparentemente più debole e più buono. Forse il fatto di avere una figlia di dieci anni c’entra qualcosa. Sì, perché sono parecchie le novità dopo undici anni di nulla. Primo, la sua ragazza di un decennio prima, Angela, non è più la sua ragazza. Anzi, si è fidanzata con suo cugino, ed è in procinto di sposarsi. Inoltre, non è più una poliziotta, ma è diventata un magistrato. Un altro piccolo particolare: ha partorito sua figlia, Flavia, che ora ha dieci anni ma si comporta come se ne avesse ventidue. Ma le novità non finiscono qui. Filippo, uno dei suoi amici più sinceri e stimati non è più suo amico. Quel ragazzotto semplice a cui Rudy aveva insegnato il mestiere ora è diventato il direttore del Giornale, e si è incarognito. Si è incarognito così tanto che appena Rudy torna operativo lo spedisce in esilio ad Olbia, la sede più lontana e isolata del giornale di Rudy. E il giornalista reduce da questo lunghissimo blackout cerebrale non può che ubbidire; lui che ha sempre vissuto ad una velocità da ritiro immediato della patente, lui che era temuto e rispettato dai colleghi, ora è inerme e spaesato, costretto a muoversi con un badante moldavo che lo accompagna e lo aiuta a riprendersi dagli strascichi fisici di questa lunghissima degenza. Come l’uomo che compare nella bella copertina del libro, Rudy tenta di ripararsi dall’acquazzone di guai e brutte notizie che gli piovono addosso, ma invano, perché finisce col bagnarsi fino alle ossa. Eppure è proprio lì, nel nord Sardegna, che Rudy cercherà di riaffilare i suoi denti e tornare ad essere la carogna più bastarda della città, l’unico e solo cattivo cronista. Perché il lungo periodo di oblio l’avrà cambiato certamente nel fisico, ma non nella mente: quella mente diabolica creata per scovare notizie e scriverle nel modo migliore possibile. È lì, in un’Olbia paradisiaca descritta con una sensibilità da far venire i brividi, Rudy metterà in piedi passo dopo passo la sua vendetta.
Come le radici ingorde di una quercia, la realtà spunta dal terreno d’inchiostro coltivato da Abate, e lo scrittore sardo aiuta queste radici di realtà a venire alla luce. Smuove la terra. Scava. E alla fine il risultato è ottimale, ma anche inaspettato e doloroso, perché la realtà, la verità non filtrata, fa male. È difficile da digerire come un purè di pietre, perché non viviamo in una favola. Ma uno scrittore ha il dovere morale di dirlo, di gridarlo. E se poi a descrivere la realtà è uno come Rudy Saporito, allora c’è solo da mettersi comodi ed ascoltarlo, perché è proprio Rudy ad avere le chiavi dell’archivio dove sono custoditi tutti i segreti della sua città. Rudy. Il cattivo cronista.
Abate non assoggetta la realtà: Abate si assoggetta ad essa. Lui, e le sue parole, diventano un tramite per dare voce alla realtà, per mettere in guardia; così come in suoi precedenti lavori – come Getsèmani e Mi fido di te – l’autore cagliaritano veste i panni di una sorta di “oncologo della società”, perché è questo che fa: studia, osserva, e descrive la cancrena che ammorba le nostre città, e in particolare la Sardegna settentrionale, specchio ed esempio calzante di corruzione e marciume. E in questo libro l’autore sardo focalizza la sua attenzione e la sua indagine su quelle società di prestito e finanziarie di vario genere che concedono mutui ai piccoli imprenditori della Costa Smeralda: una facciata del tutto legale e linda, dietro cui, invece, si nasconde qualcosa di guasto. Tuttavia questo romanzo non tocca soltanto questo fenomeno, ma anche, per esempio, l’inumana spettacolarizzazione della morte, del crimine feroce, a scopi commerciali; descrive in modo toccante e ironico il rapporto tra padre e figlia, o la bella amicizia che si viene a creare col suo badante moldavo, con due lauree alle spalle e costretto a trasferirsi in Italia per cercare di costruirsi una vita dignitosa, per non parlare dell’analisi spietata dei meccanismi spesso corrosi della redazione di un grosso quotidiano, descritto da Abate come una sorta di marchingegno di controllo delle masse.
Sono tanti gli spunti che Abate offre al lettore, e glieli propone in un modo del tutto succulento, perché ogni portata è servita dallo stile Abate, quello stile ironico, graffiante, sanguigno e senza filtri. Con una sola frase riesce a farti smascellare dal ridere o farti venire la pelle d’oca. Tutto con la stessa semplicità. Forse è proprio questo l’aspetto più interessante di questo libro, ma anche di tutti gli altri lavori dello scrittore sardo. Lo stile. La sensibilità e l’amore verso le parole. Perché Abate è uno scrittore che affila le parole prima di usarle, e conosce esattamente il momento in cui utilizzarle: quando fanno male. Quando prendono il lettore per la gola. E queste parole, questo fraseggio secco e ritmato, vanno a costituire una trama robusta, dall’intreccio ben oliato. Se ci fossero degli autovelox deputati al controllo della velocità delle trame, Così si dice sarebbe uno dei libri più multati che abbia mai letto, perché le pagine di questo libro schizzano via ad una velocità illegale. Questo libro ti si pianta addosso come i denti metallici di una tagliola, e l’unico modo per liberarsi è finire questo bel romanzo, ascoltare Rudy Saporito fino alla fine, che speriamo sia soltanto un nuovo inizio.
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