Stanca forse dei continui prelievi, stavolta è la stessa Marvel a curare il travaso dal fumetto al grande schermo di uno dei suoi personaggi più amati, ovverosia Iron Man. Affidato il compito a Jon Favreau, Iron Man ha inizio in pieno Afghanistan con tanto di rapimento del geniale Tony Stark, mercante d’armi la cui immagine non proprio edificante è però riscattata da una simpatia di fondo e da una genialità fuori dal comune. I rapitori, un gruppo di terroristi che vista la fama del personaggio catturato vorrebbero vedersi confezionare armi su misura, si ritroveranno invece, loro malgrado, ad assistere alla nascita di Iron Man in una semplice grotta, per quanto attrezzata come rudimentale laboratorio (notare la dimensione simbolica che la “nascita in una grotta” si porta dietro…). La prima versione di Iron Man a vedere la luce è monocromatica, ma non per questo meno efficace, e sarà sostituita più avanti da quella tradizionale bicolore (rosso + giallo oro). Alla base della nascita, l’incontro fecondo tra pentimento, allorquando Starks prenderà atto del male che fin lì hanno prodotto le sue armi, e, vista la situazione, puro istinto di sopravvivenza.
La sceneggiatura non sembra volersi misurare più di tanto con i conflitti asimmetrici e con l’attualità (vedi l’Afghanistan dell’inizio…) e allora declina la faccenda lungo binari consueti il che tradotto significa un antagonista come si deve e una fanciulla in pericolo, Virginia "Pepper" Potts (Gwyneth Paltrow) segretaria di Stark.
Se la parte enigma (chi c’è dietro il rapimento di Stark?) è svolta “benino”, a lasciare delusi è la mancanza di quel retroterra di sofferenza insito nella trasformazione di Stark in Iron Man, retroterra che in altri personaggi non manca e che ne segna una riuscita maggiore in termini di drammaticità (Hulk in primis e in generale tutti i mutanti di X-Men…), ma d’altronde ciò mal si accorderebbe con la caratterizzazione che Robert Downey Jr. fa di Stark, molto orientata all’apparire più che all’essere.
Si tratta, nel caso della mancata sofferenza, di uno di quegli errori per così dire “esiziali”.
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