La quasi totale scomparsa dal mondo operistico e dalla musica sacra del compositore veronese Giuseppe Gazzaniga lascia esterrefatti. Le enciclopedie gli dedicano poche righe. I suoi concittadini lo ignorano, gli anniversari della sua nascita e della sua morte sono passati e passano tuttora inosservati. Chi ne parla, poi, lo denigra. La classica vergogna italiana.
Gazzaniga nasce nell’ottobre del 1743. Si reca a studiare a Venezia con Porpora, con il quale poi si trasferisce a Napoli, dove studia al Conservatorio di S. Onofrio a Capuana. Ritornato nella città lagunare nel 1770, conosce Sacchini, grazie al quale riesce ad ottenere l’incarico di scrivere un’opera buffa per il Teatro di Corte di Vienna, Il finto cieco, il cui libretto è scritto da Lorenzo Da Ponte. La rappresentazione è accolta con poco favore, ma gli apre la via al successo.
Quindi, un anno prima dei rispettivi Don Giovanni, Gazzaniga e Da Ponte si conoscono e lavorano insieme. Da Ponte, nelle sue Memorie, come sempre poco generoso nei giudizi, classificherà il compositore veronese tra i "minori" di fine secolo, definendolo musicista di qualche merito ma di uno stile non più moderno.
Tornato in Italia nel 1771, Gazzaniga inizia una vita errabonda di teatro in teatro, sfornando una sessantina di opere buffe (citiamo L’intrigo delle mogli Le donne fanatiche Il ciarlatano in fiera La tomba di Merlino e altre), una ventina di opere serie, 4 oratori, sinfonie, ouvertures, messe, cantate, tre concerti per pianoforte e orchestra. Fa sosta alle corti di Monaco e di Dresda, diventa Maestro di Cappella prima al duomo di Urbino, dopo nella cattedrale di Crema.
Muore in quella città il primo novembre 1818.
Lasciò una biblioteca ricca di edizioni antiche ed ebbe molti allievi validi, fra cui il compositore di Casaletto Vaprio in quel di Cremona, Stefano Pavesi (che militò come musicante agli ordini di Napoleone), che gli successe nella cattedrale di Crema, ricoprendo tale carica sino al 1850.
Ma parliamo adesso della sua opera più importante, annoverata fra quelle serie, e cioè il Don Giovanni Tenorio o sia Il convitato di pietra, libretto di Giovanni Bertati, luogo della rappresentazione Venezia, mese maggio, anno 1787.
Chi fu Bertati? Un grandissimo librettista, migliore – a mio avviso – dello stesso e fin troppo lodato (non sempre a ragione) Lorenzo Da Ponte.
Nato a Martellago (Venezia) nel 1735, figlio di un modesto agente di campagna, studiò nel seminario di Treviso grazie al mecenatismo del nobile Antonio Grimani. Per il Teatro Giustiniani in S. Moisé a Venezia scrisse quasi cinquanta libretti, la maggior parte dei quali di indubbia validità e bellezza, per compositori quali Galuppi (Il villano geloso), Guglielmi (Mirandolina), Anfossi (Il geloso in cimento), Traetta (Il cavaliere errante), Paisiello (Gli astrologi immaginari), Salieri (La bella selvaggia) e, naturalmente, per Gazzaniga ‘Il convitato di pietra”).
Bertati fu, non scordiamocelo, Poeta cesareo a Vienna dal 1790 al 1794.
Il librettista italiano prese spunto dal testo del dramma in versi del 1637 dello scrittore spagnolo Tirso De Molina El burlador de Sevilla.
Quindi lavorò prima di Lorenzo Da Ponte. E Gazzaniga rappresentò la sua opera 5 mesi prima di Il dissoluto punito ossia Don Giovanni di W.A.Mozart, numero di catalogo K 527, opera commissionata dall’Imperatore Giuseppe II, ma che non andò in scena a Vienna, bensì a Praga il 29 ottobre del 1787.
Mozart ha cancellato per sempre Gazzaniga. E i critici musicali "di regime" continuano a ripetere, come se fosse una cantilena, che le due opere sono "inconfrontabili".
Ma ne siamo proprio sicuri?
Ma partiamo dal libretto. Lorenzo Da Ponte ha saccheggiato a piene mani e senza alcuna vergogna il testo del bravissimo Bertati. Lo noterebbe anche il più sciocco degli ignoranti. Non dico che il libretto di Da Ponte non sia degno di nota e con qualche salto d’ingegno, ma in pratica è la fotocopia di ciò che ha scritto di getto il povero Bertati. Quindi, plagio assoluto.
Bertati ha aggiunto due personaggi, Donna Ximena e Lanterna, altro servitore a fianco di Pasquariello. Il monologo sbuffante di quest’ultimo anticipa inequivocabilmente il Notte e giorno faticar di Leporello, così come lo scontro Don Giovanni-Commendatore e persino il successivo recitativo, dal quale Da Ponte ha attinto sfacciatamente. La scena tra
Anna e Ottavio (qui “Duca” al posto di “Don”) è scopiazzata quasi integralmente.
Ma il caso più clamoroso di vero e proprio plagio sta nella "lista-catalogo" di Pasquariello. Ma altri sono gli episodi ripresi, quali la celebre scena dell’invito a cena rivolto alla statua del Commendatore alla cena stessa, in cui a servire è, nell’opera di Gazzaniga, il valletto Lanterna, mentre Pasquariello siede a tavola con il padrone.
Per ciò che attiene alla Musica, sostengo a viso aperto che il confronto con il capolavoro mozartiano è più che azzardabile e che anche il compositore salisburghese non si è fatto scrupoli nel copiare qualche pezzo da Gazzaniga e di riproporlo nella sua opera che oggi rimane tra i "classici", mentre quella del veronese è naufragata nel più profondo degli oceani. Le arie dell’opera di Gazzaniga sono pregevolissime, basta pensare a quella di Donna Elvira Sposa più a voi non sono con passaggi fioritissimi.
Alcuni critici dicono, e in questo caso non a torto, che nell’opera mozartiana emerge un Don Giovanni assai più diabolico, sensuale, palesemente libertino e coerente con sé stesso sino all’estrema conseguenza.
E’ vero. Il Don Giovanni di Giuseppe Gazzaniga è più settecentesco, meno virile e più incipriato, ma non per questo meno efficace sul piano sociale e umano.
E la musica, se quella di Mozart è sublime, quella di Gazzaniga è piacevolissima e ricca di genuina genialità.
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