Con un lieve ritardo rispetto alla normale cadenza annuale, ritornano in Italia per i tipi della Marsilio l’ispettore capo Gunnarstranda e il suo collega Frølich; resi forse accorti dall’esordio italiano questa volta i redattori della casa editrice veneziana hanno attenuato i toni trionfalistici della quarta di copertina: “il migliore scrittore di gialli letterari di tutti i tempi” ora è diventato un più  sobrio “la nuova coppia del poliziesco scandinavo”.

La coppia, a differenza di quelle classiche, ha subito qualche piccola trasformazione: l’ispettore capo Gunnarstranda, vedovo (la moglie gli è morta di cancro), non si accontenta più della compagnia del suo pesce rosso Kalfatrus; stavolta conosce e frequenta, anche se con comprensibile prudenza, l’infermiera Tove quasi coetanea, che lo tira fuori dal suo guscio, ma che sa anche sopportare i suoi sbalzi d’umore e le sue stranezze. Il suo collaboratore Frølich, che con la sua corpulenza sta a Gunnarstranda come Sancho Panza sta a don Chisciotte, invece si è già stancato della sua compagna Eva-Britt che ha impostato il rapporto sui binari di una noiosissima routine e così comincia a guardare altrove, specie in direzione di una sua collega con la quale ha avuto una veloce notte d’amore.

Sistemati così i protagonisti, debitamente attualizzati e non immobili come le cariatidi del giallo classico, Dahl costruisce il suo complesso intreccio attorno a un personaggio, Reidar Folke Jespersen, antiquario dalle molteplici sfaccettature che emergono pagina dopo pagina, e a un nervo scoperto della narrativa scandinava, non solo norvegese, che è la Seconda Guerra Mondiale. Il problema del collaborazionismo in Norvegia, l’ambigua neutralità svedese, la vena sotterranea di razzismo che fomenta i movimenti neonazisti (d’altra parte l’eugenetica non ha avuto una fondamentale tappa nella “civilissima” Svezia?) sono temi delicati ma ineludibili per molti scrittori nordici che non esitano a cercare di cauterizzare la ferita attraverso la medicina dolceamara del noir.

E non a caso nessuno dei protagonisti di questo romanzo, oltre a non poter o voler sottrarsi ai fantasmi del passato, sfugge a una sostanziale ambiguità: Jespersen, eroe della Resistenza, ha infierito sui collaborazionisti e ora gli viene presentato il conto; sua moglie Ingrid non gli è fedele, ma è sicura che lui non sappia mentre è vero il contrario; l’amante di Ingrid, Eyolf Strømsted, a sua volta non è solo il focoso compagno di una moglie annoiata ma un bisessuale convinto che, oltretutto, finisce per avere un ruolo importante, benché passivo, nell’assassinio di Jespersen; e l’acquirente del suo negozio di antiquariato, Hermann Kirkenær, non è solo l’uomo di affari che vuol sembrare.

Ciascuno non è quello che sembra; l’assassinio di Jespersen non si è svolto con le modalità consuete; e la sua esposizione, nudo, nella vetrina del suo negozio non ha il significato che apparentemente assume; e quello che crede di aver visto un testimone, un tassista che pagherà con la vita il suo tremendo errore, è solo una parte della verità e non la più importante.

In questa macabra danza noir Kjell Ola Dahl ci offre non solo una tragica storia dei giorni nostri, ma solleva il velo su un passato che molti, troppi suoi connazionali rimuovono sistematicamente: e fosse solo questo il pregio di L'uomo in vetrina, il lettore non avrebbe perso il suo tempo.

Ma c’è molto di più, una sorta di glaciazione interiore che immobilizza i protagonisti della storia, costretti a interpretare un ruolo che sembra scritto dal destino più che dalle loro volontà. E tutti precipitano, senza scampo, nell’abisso di una vicenda che non lascia filtrare alcun raggio di luce.

Voto: 7.5