― Davvero se la fanno addosso?
— Sì Gennà…
— E come mai?
— È un istinto, Gennà. Lo fanno pure gli animali, è l'ultima chance quando stanno per essere divorati: così diventano un boccone schifoso. Però funziona poco, anche tra gli animali.
— E a te dispiace?
— Gennà, è lavoro. Un bersaglio non è più una persona, è un morto che cammina. Non mi piace spaventarli, no, ma il lavoro va fatto e basta; e fatto bene. Certo, quando mi accorgo che il loro ultimo pensiero è che se ne stanno andando al creatore in quelle condizioni mi fanno pena. Non sono di quelli che si divertono a umiliare il bersaglio: quello non è un lavoro ben fatto.
— Ti è successo?
— Sì, mi ricordo di una volta… era una ragazza, una brunetta sui venticinque, con gli occhi neri come due ulive. All'ultimo momento li spalancò, fece una faccia triste, mortificata, si sarebbe messa a piangere se ne avesse avuto il tempo. E si vedeva che non era più la paura, era la vergogna per quella cosa lì.
— E l'hai lasciata andare?
— Gennà, come te lo devo dire? È lavoro. C'è una regola fissa: se manchi un bersaglio, il prossimo bersaglio sei tu, non ci sono santi. Non c'è mai una seconda possibilità.
— Ma com'è che hai dovuto farti la ragazza?
— Gennà, ma tu quanti fatti vuoi sapere? Quella era la fidanzata del fratello di qualcuno che aveva fatto qualcosa che non doveva fare. E siccome quel qualcuno stava troppo abbottonato, e il fratello pure, chi di dovere ha deciso che ci doveva andare la ragazza di mezzo. Ma tutte 'ste cose, è inutile saperle quando devi fare un lavoro.
— Mi piacerebbe vederti lavorare. Mi porti con te la prossima volta?
— Gennà, ne abbiamo già parlato, sei troppo giovane. E poi l'ho promesso a tua madre prima che morisse: devi andare alle superiori, pigliarti un diploma… Poi vediamo.
— Che palle, papà!
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