Finora c’era stato Robert Crais, in prima fila, lui, come pochi suoi colleghi scrittori e sceneggiatori di seriali televisivi, a essere stato capace di stuzzicare il mio ormai dissepolto desiderio di California. Un viaggio per riuscire a stare di persona sulle tracce del suo investigatore, Elvis Cole, a spasso per l’intera Costa degli Angeli, tra boulevards e canyons, anfratti di buie comunità, e splendori hollywoodiani, tra squarci di deserto e strade infinite su cui viaggiano sogni americani troppo spesso infranti tra luccicanti piscine falciate dalla penombra lunare, motel cigolanti e intrisi di alcool, e antiche tradizioni di pelle nera e pelle rossa. Poi arriva Danilo Arona. Non da meno rispetto a Crais, ed è pure più facile incontrarlo lungo le strade di Bassavilla (quando gli è consentito uscire dal suo antro di stregone), senza dover prendere per forza un volo aereo fino a Santa Monica. Perché questa volta, con Santanta (edito dalla nuova collana di Perdisa curata da Luigi Bernardi), Arona ha scelto di abbandonare le cupe nebbie di casa sua per trasferirsi oltreoceano, a ridosso della mecca del cinema tra il grande business delle speculazioni e la magica ritualità della tradizione indiana, per andare a scottarsi le dita raccontando di uno dei fenomeni più spettacolari, crudeli e devastanti del mondo: gli incendi della California. Nulla di morbosamente turistico, nulla su cui speculare per attirare l’insana attenzione collettiva, ma comunque un evento di straordinaria potenza che mette in ginocchio amministrazioni americane, così come è in grado di ridurre in cenere le ville faraoniche dei potenti del cinema. Un fenomeno naturale di vento caldo che soffia per incendiare le coste californiane e trasformarle in un inferno in terra. Ancora il fuoco come protagonista, una delle passioni letterarie di Danilo Arona (basta ricordare il recente Melissa Parker, l’incendio perfetto, pubblicato da Dino Audino Editore, che già avevo avuto modo di segnalare per lo stile classico dell’autore, come sintesi perfetta tra il servizio giornalistico distaccato e la cruda partecipazione agli eventi vissuta dai protagonisti coinvolti a pieno ritmo nelle vicende narrate). La storia: Manuel Blanco, dissertatore di diavolerie e giornalista di Mundo Misterioso, dopo una sconvolgente ricerca di magia nera sul Palo Mayombe, finisce in California con l’incarico assegnatogli dal suo direttore di capire qualcosa in più dell’alito del diavolo, il Santa Ana, (o Santanta nella lingua degli altipiani, traduzione di Giaguaro Seduto, il capo di tutte le tribù Mohave alla metà dell’800 che preferì morire in carcere, piuttosto che arrendersi all’esercito dei bianchi). E in questa ricerca il giornalista si può avvalere della collaborazione di Jhon Potachecha, un metereologo indiano Chumash. Manuel da subito sbatte il naso contro la nuova realtà: il vento caldo non è solo il prodotto di un prodigio di natura scientifica legato alle mille verità accertate, a loro volta collegate all’esplosione di ioni positivi aumentati a dismisura per il surriscaldamento del pianeta, o dovuti alla crescita di serotonina, un neurotrasmettitore capace di alterare il sonno e l’umore. Emergono dati certi, inconfutabili quanto sconcertanti: quando soffia il Santanta tutto può succedere su Los Angeles e dintorni. Dalla rissa banale alla strage, malattie e catastrofi. I gatti diventano pantere feroci, mentre i cani si accucciano con le orecchie all’ingiù. E qualcosa in tutto questo incomincia a non quadrare più al nostro giornalista.
Il piglio narrativo con cui l’autore ci immerge nelle atmosfere a tratti apocalittiche prodotte dallo sferzare del Santanta è assolutamente coinvolgente. Grazie anche alla brevità del romanzo, asciutto, snello, che si avvale di dati e citazioni, con riferimenti a tratti da reporter di cronaca mondana, a tratti da spietato giornalismo di denuncia. Anche la scrittura di Danilo Arona è come un vento che scalda la voglia di leggere e abbraccia il tutto in un suggestivo ritmo di passaggi letterari e accadimenti. E il risultato, come nel caso di Melissa Parker, è lo sviluppo di un diverso e originale piano narrativo, dove il sovrannaturale si mescola all’affarismo spietato, e le tradizioni millenarie si intrecciano con la memoria dei grandi del cinema. E l’autore ci tiene anche a sancire un principio indiscutibile: all’origine della vita il fuoco divampa e brucia come un elemento quasi sacrale, come essenza primaria dell’esistere, come armonia e capacità compositiva dell’essere. I suoi poteri sono generativi e non distruttivi. Ed è stato il suo uso sbagliato, ingenerato dall’arrivo della gente bianca, con il furto delle terre, con l’incalzare della modernità, con le scorie d’uranio da nascondere nel sottosuolo contaminando antichi insediamenti funerari, ad avviare un processo di inversione di tendenza degli elementi della natura trasformandosi in uno spietato strumento di vendetta e morte. Ovviamente il tutto può essere letto sia in chiave globale pensando a un più generale squilibrio dell’ecosistema prodotto da una degenerata organizzazione sociale dell’uomo, ma anche solo pensando all’attuale stato dei nostri fiumi, del nostro ecosistema locale, Tanaro compreso, il fiume che bagna Bassavilla, il regno del profeta Arona, capace di vedere e di far vedere ai lettori il volto dei morti dentro il vento.
Storia noir? Storia horror? E’ solo un volume prezioso dove sfuma via qualunque logica di genere e lascia libero il lettore di stare all’interno di una storia narrata filtrando le pagine attraverso il suo personalissimo punto di vista. I tempi dell’editoria sono lunghi. E seppur criticabili, questa volta sono i migliori testimoni del lavoro di Danilo Arona, perché sgombrano il campo dal sospetto che il suo romanzo sia frutto della cronaca dello scorso inverno con gli incendi prenatalizi che hanno devastato la California. Con la pubblicazione da parte dell’Editore Perdisa di Santanta siamo di fronte ad un fenomeno altrettanto misterioso, ovvero la capacità di uno scrittore di anticipare gli eventi, elemento suggestivo dal punto di vista letterario ma difficile da capire e spiegare, almeno quanto lo è accettare la tesi di un enorme poltergeist, o della magia che riveste il mondo, le sue regole e l’esistenza umana, con la sua impronta capace di rendere tutti uguali sulla strada che conduce all’apocalisse. Complimenti.
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