Piombano in sala con tutto il peso del loro dolore, che poco non è, due film con i quali toccherà, volenti o nolenti, fare i conti. I titoli? I padroni della notte di James Gray, e Onora il padre e la madre di Sidney Lumet.
Ad unire le due pellicole, al di là del dolore, anche una configurazione famigliare simile che vede in entrambi i casi in gioco il rapporto tra due fratelli con stili di vita assai diversi tra loro e un padre anziano a chiudere un triangolo ad alta tensione.
Verrebbe voglia di trattarli come un unico, grande, potente affresco capace di illuminare con la forza dei suoi colori e la profondità del suo significato la strada da percorrere per continuare a portare sullo schermo storie del genere, a metà tra il thriller e il noir, ma siccome non si può, trattarli insieme, cioè, parleremo prima di uno e poi dell’altro.
I padroni della notte dimostra, ammesso e non concesso che ce ne sia bisogno, che il trentanovenne James Gray giunto al suo terzo lungometraggio (Little Odessa e The Yards, quest’ultimo mai uscito in sala le opere precedenti), è un regista nel vero senso del termine, uno cioè che preferisce di gran lunga che a parlare siano le immagini.
Esemplare in questo senso l’inizio, che lascia basiti non solo per come Joaquin Phoenix ed Eva Mendes si lasciano andare in una scena che la dice lunga su quanto i loro personaggi si sentano attratti l’uno dall’altra, ma anche per come Gray riesce a restituire mirabilmente il contrasto tra due mondi e i rispettivi rappresentanti. Il primo mondo, quello che spacca lo schermo, è di Bobby Green (Joaquin Phoenix), una vita, un lavoro, un pensiero, bling bling, gestore di un locale notturno nella New York anni ‘80 per conto di un imprenditore russo in odore di mafia. Il secondo mondo, che invece accarezza lo schermo, è quello di suo fratello Joseph Grusinsky (Mark Wahlberg), una vita la sua ispirata a quella paterna (il padre è Robert Duvall), tutta casa, chiesa, e distintivo (We Own the Night è il motto del NYPD).
Quando Joseph, poliziotto, inizierà a mettere il naso negli affari della mafia russa dedita al traffico di stupefacenti rischiando la vita, per Bobby sarà il momento di mettere la parola fine alla vita bling bling e di dare inizio a qualcosa di nuovo, stavolta a fianco del fratello…
Se la storia nel complesso sembra qua e là semplificare eccessivamente alcuni snodi che forse andavano approfonditi meglio concentrando in due ore scarse moltissimi eventi (d’altronde la carne al fuoco sotto forma di crisi di coscienza, scontri a fuoco, indagini, fughe, regolamento di conti finale è davvero tanta…), quello che al film non manca è l’umiltà con la quale Grady dimostra cosa significa appropriarsi delle lezioni di Scorsese, Ferrara, Friedkin in termini di paesaggi urbani entro i cui orizzonti i personaggi possano trovare le ragioni sia per esistere che per morire.
Gray fa proprie le lezioni di cui si è detto, le metabolizza restituendone le coordinate arricchite con un quid d’intensità che lascia stupefatti permettendosi anche il lusso di mettere le mani su un topos immancabile in un film del genere con un agguato ad un’auto della polizia che sembra uscito da un film western: Grady lo gira da un unico punto di vista (l’abitacolo di un’altra auto) e sotto una pioggia battente, regalando nuove ed inedite prospettive in una scena che appena finita è già nella storia.
Per concludere: si ha l’impressione che I padroni della notte corra il rischio di rimanere leggermente offuscato dal suo “gemello” Onora il padre e la madre. Se ciò avvenisse sarebbe un peccato, motivo per cui sarebbe bello vederli entrambi.
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