Salamanca. Durante un summit internazionale sulla guerra e il terrorismo, il Presidente degli Stati Uniti è gravemente ferito da due colpi d’arma da fuoco. Mentre vengono portati i primi soccorsi l'esplosione di una bomba miete numerose vittime.
Prospettiva di un delitto, di Pete Travis, è il classico esempio di precarietà cinematografica, ossia assumere una buona idea e licenziarla a metà strada. L’idea non proprio nuova (vedi Rashomon) consiste nel descrivere il medesimo evento da diversi punti di vista. Si inizia dalla descrizione del fatto così come è stato registrato dai media presenti, punto di vista che almeno in teoria dovrebbe garantire una oggettività assoluta, per passare di volta in volta ad altri punti di vista, quelli di un agente della sicurezza, di un turista con tanto di cinepresa, e così via (la pellicola si riavvolge, il cronometro pure, e via si riparte…).
Purtroppo una volta accumulati i diversi punti di vista l’interesse viene meno. Colpa di una scelta banale e masochistica che messa da parte qualsiasi riflessione sulla soggettività che accompagna ogni evento, ripiega in tutta fretta verso una banale detection story la cui soluzione è affidata all’agente Thomas Barnes (Dennis Quaid), addetto alla protezione del Presidente e già passato attraverso l’inferno che tale ruolo comporta (frapporsi tra l’attentatore e il Presidente stesso…). Toccherà a lui dipanare il complotto ai danni di Potus. Da segnalare due cose: la prima è un inseguimento in auto la cui lunghezza, francamente eccessiva, fa venire in mente cattivi pensieri (vuoi mettere quante pagine di sceneggiatura si risparmiano?). La seconda è l’improvvisa scomparsa senza un perché e senza un percome dalla storia del personaggio interpretato dalla rediviva Sigourney Weaver (ciao ciao Ripley…).
Un finale che sembra voglia alludere all’omertà dei media (per chi preferisce all’azione di qualche spin doctor…), finale che richiamare in modo nemmeno troppo velato Osterman weekend di Peckinpah, tenta di mettere una pezza al tutto. Troppo tardi…
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