Alzatasi di buon ora e scesa subito in bottega, Jolanda, la macellaia, non stette a pensarci su: attraversò lo stanzone al buio e, davanti al tavolo dove si stagliava l'ombra inquietante del quarto di bue appeso, staccò la carne dall'uncino e la distese sul marmo. Cominciò a dare grandi colpi con la mannaia e, subito dopo, ad affettare con rapidità. Da dentro l'ampio petto e, ancor di più, dall'intera struttura taurina (sia detto senza ironia, il corpo di Jolanda era quello di una sana e maschia donna fascista!) usciva uno sfrigolio ritmato di potenza e attività... Presto, doveva fare presto! E, intanto, imprecava contro il marito. Proprio doveva prepararla da sola la carne per i clienti! Mica s'era alzato quello smidollato di Erminio! Floscio e bigio, con quell'eterno sorrisetto storto, di sicuro sarebbe apparso alla fine! Gliela avrebbe fatta pagare, di certo – un conto salato! - al pittore, all' artista di famiglia! L'obbiettivo – ca-te-go-ri- co, s'intende - era di finire in un'ora al massimo. Dopo di che, calcolò, ci sarebbe voluta minimo un'altra ora per spogliarsi di grembiule e camicia da notte e ciabatte, poi darsi una lavata (ma sì un'energica strofinata, la più adatta al momento!)... poi, vestirsi... qui sorgeva il dubbio su cosa mettersi: o giacca-rendigotta tre quarti color grigio fumo o gonna e camicia nera... ma sì, senza dubbio, era la seconda la scelta da fare! C'era, infine, da mettersi sopra – visto il freddo di quella mattina di dicembre - il mantello verde cupo foderato di pelliccia di agnellone autarchico rasato color ruggine,... Presto! Presto! Doveva fare presto, se voleva mettersi in testa al manipolo delle madri e delle spose fiorentine che, attraversando il centro, si sarebbero dirette in Palazzo Vecchio: verso lo spettacolo superbo e commovente del rito di fede, l'offerta dell'anello nuziale alla Patria. Presentì il piacere del gesto, insieme politico e religioso.

Poi le fantasie divennero d'altro tipo... Mentre con marrancio e scortichino scarnificava veloce la carne, le labbra s'incresparono in un sorrisetto malizioso. La fantasia dallo stato embrionale divenne nitida: dopo la cerimonia, sulla strada del ritorno a casa, avrebbe deviato verso il pied-à-terre di Desiderio, il suo amante, che era insieme barbiere e fiduciario del gruppo rionale fascista del quartiere... Senza rendersene conto, pensando a Desiderio, stava percuotendo con ritmo sempre più frenetico l'angolo del tavolo con cosce e pube. Dall'angolo buio dov'era sistemata la ghiacciaia, Erminio osservava estatico la moglie e tutto ciò che la circondava. Aveva il sempiterno sorrisetto sulla bocca, ma non scuoteva la testa, com'era solito fare. Era attratto dal quadro “alla Caravaggio” che aveva davanti a sé. Luci e ombre e volumi: proprio caravaggesco! Anzi no, meglio se toglieva la donna – dalla visuale e dalla memoria - e considerava solo l'irripetibile composizione di quella natura morta fatta di carne, sangue, grascia, ossa e muscoli! Erminio rimase fermo, accalappiato dall'emozione. Jolanda presentì la presenza del marito. Tenendo in mano il coltellaccio, si voltò con calma scrutò dentro l'ombra, infine disse: - Ah, sei tu... Ti ce n'è voluto a scendere giù! - L'uomo, pencolando, fece un paio di passi verso la semi ombra. Indossava una vestaglia lunga di un marroncino indefinibile, aveva il volto terreo e un corpo allampanato, anzi scheletrico. Jolanda lo misurò con occhi pieni di disprezzo. Erminio si scusò: - Sono venuto a letto tardi, avevo da finire il quadro per il cliente... - – Che cliente? - – Desiderio, il barbiere di via Ghibellina... - Jolanda si mise sulla difensiva: lo guardò con occhi di fuoco, il coltellaccio le roteò minaccioso tra le dita. Ma no!, sembrava che non ci fosse nessun sospetto nell'atteggiamento e nella voce di Erminio. Ma sì!, ora stava capendo: il suo amante esponeva nel negozio, a rotazione, alcuni quadri dei diversi pittori locali, cercando di venderli. Si vede che gli piacevano anche quelli di Erminio, e se andava bene a lui! E poi, alla fin fine, chi “è geloso è becco”, le sembrò considerazione saggia. Quindi ritornò tranquilla e, di conseguenza, brusca verso il marito. – Senti, oggi fai te le consegne. – gli comunicò – Eppoi rimetti a posto tutto. Io devo andar via di corsa. - Erminio annuì. La sera prima, quando la moglie gli aveva detto cosa voleva fare, aveva iniziato ad obiettare, ma al solito quella lo aveva zittito di brutto. Di fronte a quella pericolosa locomotiva a vapore (quando si arrabbiava, Jolanda buttava fuori sudore e vapore insieme...) se ne stette in silenzio. Cominciò ad involtare la carne con la carta gialla.

Aveva bisogno di qualche minuto per riorganizzare le idee. Quando si sentì pronto, le andò vicino. Con la sua andatura pencolante sembrò più minaccioso e imperativo di quanto volesse esserlo. - Te l'ho già detto iersera. D'accordo nel donare l'oro alla patria. Tanto più che nella tua... nella nostra posizione... proprio è impossibile fare diversamente... - Mani sui fianchi, Jolanda inveì: - Ma che storia è questa?!? - – Inutile donare quel po' po' d'oro che hai al dito... - Accennò con l'indice verso il dito anulare della moglie, cinto da una fede così massiccia da sembrare turrita. Incoraggiato dalla mancanza di reazioni violente, l'uomo continuò: - Ne ho comprato un altro dal gioielliere Gozzini che non sfigurerà certo al confronto... - – Perché non donare questo? - – È d'oro antico ed era della mamma, buonanima... e poi la lavorazione! Il peso! Di sicuro supera il valore di quello donato dalla Regina Elena... - – Non mi piace nascondere questo e darne una copia all'Italia... anzi al Fascismo... - – E, poi, anche le tue amiche... le camerate fanno così, che cosa credi! - – Ah, sì? Dimmi chi, un solo nome... - – La Matilde Benassai, se ti interessa saperlo... - Aveva pronunciato il nome e il cognome con tono stridulo. Dapprima si pentì, fece un gesto con la mano per rimediare. Ma, poi, visto lo sguardo arrabbiato della moglie, godé nel dir male di quell'antipatica di Matilde, che, ne era sicuro, teneva bordone a Jolanda su ogni cosa. Glielo disse anche. – Lo so che ti tiene bordone anche su quel Desiderio... - Jolanda divenne di pietra. Avanzò rigida col coltellaccio in mano, positura molto simile a quella delle più terribili accoltellatrici apparse sulla “Domenica del Corriere”. Erminio indietreggiò inorridito e cadde all'indietro come Geppetto nel Pinocchio. Senza il preciso punto di riferimento costituito dal corpo del marito, anche Jolanda cadde rovinosamente in avanti, picchiò la testa contro l'angolo del tavolo e cadde sul pavimento con uno splash! fragoroso. Restò lì senza lamentarsi, né imprecare. In silenzio assoluto. Strano, pensò Erminio, che proprio a quel silenzio così invadente non c'era abituato. Quanto tempo era passato? Una, due ore, cinque minuti? Disteso sul canapè del salotto, Erminio stava inebetito a cercar di raccapezzarsi. Non ricordava nemmeno come c'era arrivato nell'appartamento, situato sopra la bottega e raggiungibile attraverso scala interna a chiocciola... A memoria, non riusciva a percorrere la fuga dal corpo steso nel sangue (sangue? ma c'era, poi?): ora rifiutava la sola idea di scendere di nuovo di sotto. Deve aver picchiato colla tempia, si sa quanto è mortale picchiarci, pensava. Anche se, per la verità, non lo confortava la statistica: lui di morti per aver picchiato la tempia non riusciva a ricordarsene... Jolanda, pensava anche, doveva essere scivolata sul grassume accumulato attorno al tavolo... ma su questo sapeva come giustificarsi coi carabinieri, perché in fondo era sempre lui a pulire la bottega e se c'era una disordinata era proprio la povera Jolanda... Ma se putacaso la Jolanda fosse solo ferita e si stesse rizzando con la solita aria da pazza infuriata e col coltello o la mannaia stesse salendo la scala? Nel pensarci, gli stavano insorgendo dolorosi crampi allo stomaco e quell'insopportabile prurito sotto i piedi che ben conosceva da bambino quando veniva inseguito dal babbo briaco, generoso poi nel rifilare formidabili manate... E, poi, Jolanda poteva aver bisogno di aiuto! Magari si poteva salvare se i fratelli della Misericordia l'avessero trasportava in tempo all'ospedale... Era stata una disgrazia, no? Di cosa poteva essere accusato, in fondo? Di nulla! La stessa vendicativa moglie, grata di essere stata salvata, avrebbe testimoniato a favore. “Certo, maresciallo, è stata una disgrazia...”. No, in realtà, mica era tanto sicuro sulla testimonianza di Jolanda... Ma tant'è, doveva pure darsi una mossa. Il prudente Erminio ricominciò a respirare con lenta regolarità... e ricominciò a riflettere sulla brutta faccenda... S'affacciò sull'imbuto buio della scala di ghisa. Era pronto a scappar via, richiudendosi a chiave in camera... Nulla. Silenzio dal basso. Cominciò a scendere, scalino dopo scalino... Il corpo di Jolanda era disteso di lato al tavolo. Morta stecchita, senza ombra di dubbio. Aveva la faccia rivolta verso la base del cassonetto di legno che serviva per raccogliere gli scarti della carne: la mascella protesa, i denti stretti in un ostentato ghigno di disprezzo, gli occhi aperti per l'eternità nel rimprovero e forse nello stupore per tanta onta subita... A questo punto Erminio, imprevedibilmente, s'indignò. Così, come sempre, Jolanda aveva voluto umiliarlo! Anche da morta la moglie sembrava volerlo sbeffeggiare: il braccio sinistro proteso in avanti s'era disposto e irrigidito in posizione d'offerta, la mano se ne stava sollevata sull'arco costruito dal pollice che puntava il pavimento, persino il dito anulare era proteso più in alto rispetto agli altri, quasi ad evidenziare il gesto dell'offerta della massiccia fede che mandava sinistri riflessi. Erminio s'accorse solo allora che due goccioline di sangue color rubino erano rapprese sull'anello, solo lì! S'accoccolò davanti al corpo, afferrò la mano della morta, che gelidamente rispose al tatto; la tirò a sé, ma l'arto di oppose con rigidità, tanto da ristornare sul pavimento; afferrò allora il dito con la sinistra e cominciò a tirar su l'anello; niente da fare! la fede non si mosse, conficcata com'era dentro l'enfia ed estranea materia! Ora Erminio sudava e smaniava, ma nulla di muoveva! Corse allora al lavello dove c'era il pezzo di sapone di Marsiglia, che strusciò tutt'intorno al dito, divenuto un gonfio salsicciotto. Torse a destra e poi a sinistra, invano! Assurdamente rifletté se era meglio farlo in senso orario o antiorario! Nulla, nulla, nulla! L'anello non si mosse. L'uomo divenne cianotico, poi finì per mancargli il respiro. S'addossò stremato alla gamba del tavolo. Passarono almeno cinque minuti di riflessione prostrante. Poi si decise. Quando si rialzò, gli sembrò d'essere un altro se stesso: un dio della vendetta dal maestoso andare... Prese il più spesso tagliere di legno. Lo scortichino e (“Non si sa mai... dipende dallo spazio che c'è...”) la lucida, letale mannaia. Si accoccolò di nuovo e cominciò a tagliare... Il dito con anello se ne stava ora posato nel bel mezzo d'un foglio di carta gialla: l'accoppiata dava l'aria di una macabra e un po' bizzarra natura morta di pittore toscano. Ma sì, penso Erminio, una natura morta dal titolo “Anulare con fede nuziale su carta gialla”. Anche dal punto di vista della materia (spatolate bioccolose) e dei colori (giallo paglia, giallo cadaverico, rosso sangue virato sul violaceo) sembrava davvero un quadro di un Rosai, di un Soffici o di un Marmagioni. Lui di quadri di Rosai ne aveva cinque, comprati per due soldi, nel disprezzo palese di Jolanda... quand'era in vita, s'intende. “Di nuovo il bischero s'è lasciato infinocchiare!” Distaccò lo sguardo dalla natura morta quando sentì scampanellare. Erano furiose e insistenti intermittenze. Erminio non ebbe dubbi: era senz'altro Matilde, la più fascista e invadente tra le amiche della fu Jolanda. Uno sguardo attraverso le persiane della finestra che dava sul viuzzo gli dette ragione: era di Matilde la robusta sagoma in nero che se ne stava davanti alla porta, imprecando e stupendosi di tanto silenzio. Finalmente la donna cedette: lo scalpiccio a passo di carica testimoniò della sua partenza. Ma Erminio non dubitò nemmeno per un attimo che sarebbe tornata presto con i rinforzi adeguati... Si sentì perduto. Circumnavigò sempre più pencolante nel semibuio della bottega, pensando e ripensando... finché non capitò davanti alla natura morta oscenamente posata sul banco... non credette ai suoi occhi... arretrò di due passi all'indietro per osservare meglio, tanto veloce da inciampare e cader di culo sul pavimento... mancava una cosa!... c'era ancora la carta gialla macchiata di sangue ma non il dito con l'anello!... avanzando a gattoni frugò con gli occhi e le mani sotto il tavolo e tutt'intorno il pavimento: niente di niente. Finché, cogliendo con la coda dell'occhio un barlume nero, tutto gli fu chiaro! Gosto, il gatto nero di Jolanda, stava procedendo a balzi verso la finestra con quel particolare salsicciotto tra le fauci. Un attimo dopo ci stava giocherellando sul balcone, due attimi dopo era balzato giù sul marciapiede col prezioso bottino... Attraverso le gretole della persiana semiaperta, Erminio lo seguì con lo sguardo: un Gosto trionfante se ne andava a balzi, a coda ritta, verso il fondo del viuzzo. Intanto Matilde – dopo aver ascoltato alla radio la voce commossa e commovente della Sovrana invocare sull'altare della Patria la Vittoria delle Armi Italiane – s'era diretta verso Piazza Signoria con un folto gruppo di donne del quartiere accorse a compiere l'offerta dell'anello nuziale alla Patria: avrebbero ascoltato (prima) e applaudito (fervidamente, dopo) la Principessa Jolanda di Savoia che dal balcone di Palazzo Vecchio avrebbe dato lettura del regale e nobile messaggio. Fu forse l'omonimia tra il nome dell'amica con quello della Regale Principessa, a crearle l'ansia insostenibile di conoscere il perché la prima tardava tanto: costrinse così il figliolo maggiore Arnaldo a tornare indietro per controllare in macelleria o comunque per raccogliere notizie sull'amica. Questi - appena capì che, per quel giorno, era stato graziato da noia mortale - scappò via rapido, in corsa sfrenata... Gosto imboccò la strada più breve per arrivare nel giardino di piazza D'Azeglio. A quell'ora via della Mattonaia era deserta - anche per la coincidenza con la cerimonia in Piazza Signoria - e nulla e nessuno intralciò la spedita andatura del felino, che di sottecchi scorse lontano, dall'altro lato della via, solo un ragazzo, che dapprima rallentò la corsa, incuriosito alla vista del gatto a lui noto, ma che poi accelerò di nuovo in altra direzione... Il giardino, circondato da alti palazzi e ville patrizie, aveva alberi di alto fusto e siepi folte e aggrovigliate: Gosto si diresse dentro la più fetida, dove si stavano macerando diversi fagotti enfi di trippa per gatti, lasciati lì da un gruppetto nutrito di vecchie gattaie. Qui, distratto da tanti odori sapidi e un po' acidi, giocherellò un po' col dito, per scappar via all'improvviso lanciando un miagolio rancoroso contro chi l'aveva scacciato. Ermete Marmagioni, professore di Belle Arti e pittore postmacchiaiolo con tendenze tardofuturiste, era nemico dei gatti e delle gattaie in particolare. Girava intubato nel suo cappotto marrone che gli arrivava fino ai piedi, l'immancabile bastone nero che gli serviva per frugare tra le macchie ed additare a se stesso (visto che girava sempre da solo...) il sudiciume che gli si rivelava in tutto il suo impudico, trionfante afrore. Si scandalizzava. “Che schifo! Altro che vigili! Ci vorrebbero i carabinieri! Che dico? La milizia ci vorrebbe!... O-questo-che-è?”. L'interiezione riguardava il reperto formato dal dito mozzato con anello. Lo sondò con la punta del bastone; si inclinò per vedere meglio; maestro del nihil admirari si guardò intorno non muovendo muscolo del viso; prese il moccichino bianco dalla tasca dei pantaloni; si chinò a 90°; con il pollice e l'indice afferrò il dito mozzato con l'anello; involtò il tutto nel moccichino; ripose il tutto nel tascone del cappotto. In piazza Donatello, lì vicino, aveva l'atelier con annesso un minuscolo appartamento. Vi si diresse. Proprio per far sviluppare l'idea magmatica che gli frullava in testa, per quel giorno non fece più nulla. Decantare, serve decantare e poi ancora decantare, si ripeteva spesso. Tre cose pratiche però le fece: tirò fuori dal cappotto il moccichino, lo mise in una scodella che coprì con altra scodella, mise il tutto fuori della finestra che faceva un bel freddo... Due giorni dopo il magma era diventato idea precisa, così come fuori il sole aveva sostituito la pioggia uggiosa. Già davanti alla tela, il Marmagioni aveva deciso.
Ma sì, si disse e ridisse, ne ricaverò una natura morta dal titolo “Anulare con fede nuziale su carta gialla”. Ma quasi subito si bloccò. Gli venne voglia di dare al quadro un significato di viva attualità o comunque un forte senso metaforico. Il volto gli si illuminò finalmente di un giocondesco sorriso: eureka! Avrebbe dipinto come base su tutto il formato della tela una pagina di giornale! Trovo quello che gli serviva quasi subito: una pagina del quotidiano cittadino, quella della cronaca. Era il resoconto elegiaco sulla cerimonia dell'offerta dell'anello nuziale alla Patria svoltasi a Firenze in Piazza Signoria. “RITO DI FEDE E VOLONTA' DI VITTORIA - Rito semplice e solenne che ha assunto un significato squisitamente politico, quasi religioso riaffermando ancora una volta, dinanzi al mondo attonito o incredulo, la concordia e la volontà dell'Italia; esaltando i valori dello spirito che rifulgono maggiormente quanto più dura e aspra si fa la duplice impresa delle nostre armi e della nostra economia. Lo spettacolo superbo che l'Italia ha offerto il 18 dicembre, iniziandosi il secondo mese dell'iniquo assedio sanzionista, dovrebbe ammonire che «un popolo di 44 milioni non soltanto di abitanti ma di anime non si lascia impunemente iugulare e meno ancora mistificare» e che «dalla prova nella quale siamo impegnati tutti, dal primo all'ultimo, certissimamente usciremo vittoriosi ». Le madri e le spose fiorentine, seguendo l'esempio della Regina che mai è stata così vicina al Suo popolo come in quest'ora, hanno donato alla Patria il pegno più caro ed il ricordo più prezioso del loro amore e della loro vita, e lo hanno donalo con una unanimità ed una fierezza veramente commoventi. La Nazione può andarne orgogliosa ! Domenica, il Cardinale Arcivescovo di Firenze S. E. Elia Dalla Costa, dinanzi alle autorità e ad una grande moltitudine, ha benedetto nella Basilica di Santa Croce le «fedi» nuziali di acciaio che sostituiranno quelle d'oro offerte nella nostra città alla Patria. Bisogna ammirare ed esaltare la spontaneità e l'entusiasmo con cui il popolo italiano, consapevole dei diritti e delle necessità della Patria, compatto e temprato mirabilmente nel clima eroico del Fascismo, in una perfetta armonia di sentimenti e di aspirazioni, resiste gagliardamente e vittoriosamente ad ogni dura prova. V'è in esso e nelle sue rinunce d'oggi la certezza ed il destino della sua vittoria e della sua grandezza di domani.” Su un fondo grigio-antimonio, rifece con acribia ostinata e con la tecnica del pointillinisme la pagina del giornale, titolo compreso. Nel mezzo apparve la losanga della carta gialla, prima appallottolata poi di nuovo distesa, infine leggermente strinata. Nel mezzo del mezzo (il centro metaforico) il dito mozzato con l'anello. Alla fine Marmagioni guardò e riguardò soddisfatto la tela. Il risultato gli piacque. Si concesse persino un largo sorriso, visto che era tutto solo. Anche dal punto di vista della materia (spatolate bioccolose) e dei colori (giallo paglia, giallo cadaverico, rosso sangue virato sul violaceo) sembrava davvero che ne fosse uscito uno dei suoi quadri migliori. Titolo: RITO DI FEDE. Per la cronaca: il dito della povera Jolanda finì nel bussolotto del sudicio dello scultore Rombai, qualche atelier distante. La fede fu riposta in un vasetto di Italbrodo, preventivamente svuotato dello squisito estratto per brodo e condimenti: e messo via in fondo a qualche cassetto. Arnaldo, il figlio di Matilde, ritornò indietro, in Piazza Signoria. Strattonò la mamma che, nel mezzo di un gruppetto di donne fasciste, si stava annoiando a morte aspettando la fine di una cerimonia che sembrava non finisse più. Matilde colse l'intervallo giusto nel mezzo dello sgocciolio infinito dei blabla, e corse via con Arnaldo al seguito. Il bandone della macelleria era ancora tirato giù e allo scampanellio non rispose nessuno. Arrivò anche Desiderio con un manipolo di camerati. Bussarono e chiamarono a gran voce: nulla. Arrivarono i pompieri che si accinsero a buttar giù la porta dell'appartamento... il quel mentre furono bloccati dallo sferraglio del bandone tirato su dall'interno, e sul vano apparve Erminio, il macellaio-pittore, che teneva le mani alzate a sostenere l'intera ferraglia, tanto da assomigliare a Cristo in croce. La settimana dopo - quando si cominciò a fare il primo entusiasmante inventario della raccolta dell'oro alla Patria – vide Erminio nel carcere delle Murate. In attesa di giudizio: a sentir l'avvocato, sembrava certo che Jolanda fosse morta a seguito di una caduta accidentale, ma egualmente certa era la gravità e la peculiare efferatezza di quel dito mozzato: vilipendio di cadavere, certo di particolare gravità. Del dito e dell'anello nessuna notizia: ambedue scomparsi nel nulla. Erminio pronunziò in proposito alcune frasi che parlavano di qualcosa che aveva fatto il gatto di casa. Il magistrato valutò anche la possibilità di sacrificare Gosto ad una ricognizione autoptica, che saggiamente scartò per arrivare a proporre un'attenta sorveglianza su quanto il povero animale avesse evacuato nel corso di una settimana. L'avvocato, che gli aveva fatto visita in carcere più volte, aveva trovato l'imputato tranquillo, “quasi estatico”. Erminio, aggiunse l'avvocato, leggeva assiduamente gli articoli di cronaca cittadina riguardanti il suo caso, ed era rimasto deluso dalle poche righe “asettiche” che avevano dedicato. Ma ancor di più prediligeva – l'avvocato sottolineò opportunamente la notizia caricando il tono della voce - le cronache dedicate alle cerimonie dell'offerta dell'anello nuziale alla Patria, avvenimento che aveva commosso l'Italia, che dico?: il mondo intero! Fu così che Erminio, dalla sua cella, venne giornalmente informato sull'Italia fascista che era riuscita a raccogliere i 33.622 chili d'oro e 93.473 d'argento. Che c'erano fedi nuziali di tutti i tipi e valore, ma anche oggetti preziosi, braccialetti, catene e coccarde d'oro zecchino. Gli anelli nuziali saranno sostituiti, si precisava, con fedi d'acciaio. «Nell'Italia di Mussolini, il metallo nobile è l'acciaio». Commovente la miriade di esempi di povera gente, o comunque di modeste condizioni, che da quello che può. Ma lode anche ai vertici del Regno e dello Stato: la regina Elena dona la propria fede, il principe Umberto il collare dell'Annunziata, re Vittorio Emanuele dei lingotti d'oro, Mussolini fa fondere i busti della Rocca delle Caminate, Pirandello offre la medaglia del Nobel, D'Annunzio la sua vera e una cassa d'oro, Marconi l'anello nuziale e la medaglia da senatore,... Le fedi raccolte a Roma sono 250mila, a Milano 180mila. E a Firenze?, si chiese Erminio. Lo chiederà al direttore.