Diffidate delle fascette…
Diffidare delle fascette che circondano i libri. L’ho sempre detto. Soprattutto per quello che c’è scritto. Di solito una iperbole più che generosa. Come questa “E’ nato un nuovo, autentico narratore del giallo italiano. Ma è svizzero e si chiama Andrea Fazioli” a firma di Gianni Biondillo. Riferita a L’uomo senza casa di Andrea Fazioli, Guanda 2008. Ma qui la curiosità ha vinto l'istinto.
Presentazione in seconda di copertina “La Svizzera è un posto misterioso. Sembra un luogo lindo e tranquillo, ma sotto la superficie strisciano inganni, delitti e soldi, tanti soldi, che magicamente volano nelle banche: Tra i misteri elvetici si aggira anche Elia Contini, un investigatore privato che lavora a Lugano, sul lago, in mezzo agli intrighi della politica e della finanza, ma che ogni sera se ne torna a casa in un villaggio di montagna dove gli piace osservare le volpi che abitano nel bosco. Una vita che scorre più o meno uguale, finché un giorno è costretto a scontrarsi con un mistero che lo riguarda da vicino: quello di un paese sommerso dall’acqua per la costruzione di una diga. Il paese nel quale era cresciuto. Da allora molte cose sono cambiate. Però c’è chi ancora non ha dimenticato: qualcuno che vuole tornare indietro, vuole rivedere i volti del passato, e per farlo è disposto ad uccidere…”.
Aggiungo qualche particolare su Elia Contini: ufficio con gli oggetti più strampalati. Idem la sua casa dove si trova un grosso orango di terracotta, un telaio di bicicletta viola e una collezione di cactus. Secondo Chico, uno dei personaggi del libro, con la sua faccia aguzza e gli occhi freddi pare un gaucho argentino. Fidanzato con Francesca dimostra di essere chiuso, poco incline ad aprirsi “Pur senza viaggiare con il corpo, una parte di lui era sempre all’estero, lontana dagli scambi d’affetto e dalla tenerezza delle consuetudini”. Ha perso suo padre nel senso che un giorno è sparito insieme ad un’altra persona del luogo, indossa il solito cappotto col risvolto di pelliccia e un cappello di feltro scuro, oppure la solita cravatta sottile nera sopra un abito chiaro. Pochi altri spunti degni di nota.
Ma non è tanto il personaggio a lasciare perplessi (piuttosto sbiadito ma se ne trovano di peggio in giro) quanto tutta la storia spezzettata in mille piccole parti che si staccano e riattaccano in continuazione. Scrivere un romanzo poliziesco dove far convivere istanze e problematiche sociale con quelle individuali e mettere a posto tutte le tessere proprie del giallo classico non è impresa da poco. Senza perdere poi la bellezza del racconto, della storia in se stessa. Un’impresa degna di Sisifo. Occorre forza, potenza di fantasia, di creatività e stile per non cadere nel trito e ritrito, nel visto e rivisto. Che qui mancano. Almeno in gran parte. E almeno per il sottoscritto.
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