Un’idea vecchia come il cucco… Un malloppone di 479 (quattrocentosettantanove) pagine questo La quinta vittima di Antonio Invernici, Baldini Castoldi Dalai 2007.

E’ Milano, ma potrebbe essere una qualsiasi altra città: sono Simona, Giovanna, Marzia e Valeria, ma avrebbero potuto essere altre quattro donne. Niente le accomuna - non l’estrazione sociale, non l’età, né lo stile di vita - a parte la solitudine in cui ciascuna si sente sprofondare e il feroce destino che le rende vittime in pochi giorni dello stesso carnefice: un seduttore per corrispondenza che, offrendo loro uno spiraglio di luce, le attrae a sé per lasciarle, una dopo l’altra, esamini sul luogo del primo incontro. Anche il serial killer sembra sfuggire a qualsiasi tentativo di classificazione, sia nel modus operandi, sia nella logica della sua follia. E’ a partire da questi labili indizi che Anna Gilardi, il sostituto procuratore, insieme a un nutrito pool formato da poliziotti, carabinieri e due agenti dell’Fbi, è chiamato a condurre le indagini sul caso.

Una nuova detective lady dunque. Con i soliti problemi familiari, i soliti problemi sentimentali. Che cerca di combattere sniffando coca e usando Tavor. Buona educazione, sani principi andati a farsi fottere per le tristi vicende della vita.

Sul libro. L’idea di nascondere il vero delitto all’interno di una successione di assassini senza senso apparente (“Le ha uccise tutte lui. Dalla prima all’ultima ma solo una di loro aveva un motivo per morire. Le altre tre hanno funzionato solo da tragica cortina di fumo”) è vecchia come il cucco. Basta ricordare La serie infernale di Agatha Christie ripresa in seguito a piene mani. La storia si sviluppa da molte (troppe) angolazioni e sembra cucita con il filo di altre storie prese di qua e di là. Una specie di rattoppo. Solito intervento del RIS e dell’FBI con snocciolamento-profilo dell’assassino e c’è pure il chattare.

Certo è difficile creare qualcosa di nuovo nel già scritto e riscritto ma se non ci si prova… Almeno nel titolo che è uguale spiccicato a quello di un libro di Joseph Fletcher e molto simile a un altro in cui di troppo c’è solo la parola “Nero”.

Anche certi cambiamenti psicologici non mi paiono convincenti. E poi le solite frasette in corsivo.