In questi ultimi tempi ho letto tanti racconti. Cito a braccio le antologie Crimini, Porco Killer, Anime nere (a mio avviso la migliore), Tutto il nero dell’Italia, La legge dei figli, Giallo Natale e via dicendo.
Non potevo lasciarmi sfuggire Le ombre della città, a cura di Marcello Fois, Alberto Perdisa 2008, una raccolta di sedici racconti (se ho contato bene) firmati da autori di grande prestigio come la Montanari, Lucarelli, Macchiavelli e Varesi tanto per ricordare i più noti. Ma gli altri non sono da meno.
Storie di tutti i giorni. Vere. Reali. O comunque possibili.
Come “Il portaritratti” di Luigi Bernardi. Una sorpresa amara per chi racconta la fine della sua vita. Il ritratto della famiglia, moglie e figlio, trovato nell’ufficio di una banca. Il loro suicidio. Il suo lasciarsi andare fino alla morte. La registrazione del racconto stesso. La realtà sociale che si introduce quasi di soppiatto in questa realtà individuale. Un albanese e un turco senza il permesso di soggiorno. Un rumeno ricercato per reati contro il patrimonio, un polacco che si è fregato il walkman del morto. Uno stile asciutto, secco, essenziale. Tristemente monotono.
Ora racconti brevi, brevissimi dove si lascia intuire la fine spesso inaspettata e talvolta liberatoria (vedi il padre padrone della Montanari), ora racconti di più ampio respiro, nudi e crudi o sorretti da una leggera e allegra ironia. Un miscuglio di temi e di stili interessante. Lotte di mala, disastri ambientali, insabbiamenti, riciclaggio abusivo, corruzione, attentati, pestaggi di neri e così via. E poi matrimoni falliti con accoltellamenti, teste rotte, ossa segate, e l’innamorato con in mano un mazzo di rose rosse e il rasoio a manico pronto nella tasca della giacca, Ecco se c’è una cosa che accomuna diversi racconti è questo inserirsi delle problematiche sociali in quelle individuali. O viceversa. Ma il risultato non cambia. C’è merda dappertutto.
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