Mai come ora il mondo contemporaneo ha bisogno di solitudine. Con la letteratura questa esigenza è diventata un privilegio raro, quasi inconsueto.
I clamori eclatanti, la sonorizzazione degli eventi si fanno strada anche tra i letterati come un’esigenza irrinunciabile.
Dico ciò, perché, a volte, la letteratura ha risvolti ancor più amari della realtà. Se cerchiamo la violenza, la rappresentazione del crudo efferato, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta.
Dico anche della risonanza di scrittori che urlano a gran voce il male della società contemporanea, perché è una società malata, che va di corsa, che vuole accelerare i tempi.
Ma io chiedo se è possibile fermarsi a riflettere, anche solo per un istante, guardare quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle, perché c’è qualcosa che non ci lascerà mai, ci accompagnerà sempre.
Ho pensato a questo leggendo il romanzo di uno straordinario scrittore lituano da poco tradotto in Italia. La Lituania era il paese ospite il maggio scorso al lingotto di Torino e la Besa ha pensato di fare un omaggio ai suoi lettori presentandoci La vita sotto l’acero di Romualdas Granauskas, un romanzo incentrato sulla memoria, la memoria per riscattare storie, fatti, personaggi, che sarebbero dimenticati.
E in un mondo dove la memoria diventa indispensabile per colmare un vuoto incolmabile, Granauskas ci porge una straordinaria rapacità del genere umano.
E’ Kariarè la nera la grande protagonista di questo romanzo, che sulla soglia della casa diroccata nel suo villaggio rimane a preservare il ricordo del marito e del figlio.
Sullo sfondo della sofferenza inferta dalla dittatura sovietica, con la spoliazione dei beni e delle terre in seguito alla collettivizzazione, per molti e molti anni le genti del villaggio si sono assoggettate al miserabile sussidio che proveniva dal mondo delle kolkoz.
Dopo il crollo del regime la modernità cancella definitivamente lo stile di vita contadino, compaiono automobili rombanti sulle strade asfaltate di fresco, i rapporti tra gli uomini si fanno ruvidi, scende il buio dell’incomunicabilità.
La vita sotto l’acero non vuole essere un canto contro la modernità, vuol semplicemente essere un canto contro questa modernità becera e confusa, che cancella i grandi valori umani.
Lo fa, Granauskas, attraverso una protesta civile. Il suo non è un canto lirico che diventa il pianto disperato contro la malizia e la perfidia dei potenti. E’ un impegno che invita tutti a riflettere, dove il passato si confronta con il presente, dove prevale la forza persuasiva della memoria.
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