La Giuria del Premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa, presieduta da Nico Orengo con Cecilia Scerbanenco ed eccezionalmente composta per quest'anno da alcuni scrittori vincitori delle precedenti edizioni del concorso: Sergio Altieri, Pino Cacucci, Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois, Barbara Garlaschelli, Leonardo Gori, Giancarlo Narciso, Andrea Pinketts, Claudia Salvatori, dopo aver vagliato le 5 opere finaliste, ha assegnato il riconoscimento a Tango e gli altri. Romanzo di una raffica, anzi tre di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli con la seguente motivazione: “Imperniato su un lontano delitto dei giorni delle brigate partigiane, il romanzo esprime, con collaudata perizia narrativa, un attualissimo desiderio di non rifuggire le verità della Storia. Ritrovando felicemente il maresciallo Santovito, gli autori impastano la narrazione di umanità e pietas italianissime che non impediscono di scegliere, anche tanti anni dopo la ferita della Guerra, da che parte stare”.
Gli altri finalisti erano: Le imperfezioni di Valerio Varesi, Al caffè del silenzio di Giorgio Todde, Confine di Stato di Simone Sarasso, Il giovane sbirro di Gianni Biondillo.
Tango e gli altri. Romanzo di una raffica anzi tre di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli (Mondadori)
Una raffica di mitra del plotone di esecuzione mette fine alla giovane vita del partigiano Bob, ma questa volta non sono nazifascisti quelli che sparano. Accusato di un atto di efferatezza, aver sterminato l’intera famiglia del patriarca, Bob è stato giudicato in fretta e furia dal tribunale partigiano composto dai suoi commilitoni della brigata Garibaldi e da un commissario politico venuto da oltre la linea del fronte. Tuttavia, poiché molti sono i particolari che non tornano a proposito del massacro delle Piane, un’altra brigata ha affidato un’indagine parallela a Benedetto Santovito, reduce dalla Russia e diventato anche lui partigiano di giustizia e libertà con nome di battaglia “Salerno” su quelle stesse montagne dove aveva fatto il maresciallo: con la certezza che un carabiniere, come un prete, resta carabiniere nell’anima, qualunque abito indossi. L’escalation drammatica degli eventi bellici impedisce a Santovito di portare a termine un’indagine appena iniziata, ma molti anni dopo, nel 1960, il passato bussa di nuovo alla porta e una lettera appassionata e struggente obbliga il maresciallo a ritornare sul caso. Solo che gli anni hanno cambiato, se non i luoghi, tutte le persone. E molto profondamente.
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