"Sì, è morto, ce l’abbiamo fatta!".

I tre complici riepilogarono il piano, ovvero il copione che avevano ideato. Al professore restava un’ultima curiosità, così chiese alle due attrici:

"Se penso che a quest’ora dovrei essere morto, mi vengono i brividi! Ma voi due perché lo avete tradito? In fondo è pur sempre, cioè era pur sempre il vostro capocomico...".

"Proprio per quello lo volevamo morto!", rispose con rabbia la donna magra. "Nella compagnia ci trattava uno schifo, ci assegnava solo ruoli secondari. Poi, quando si è trattato di commettere un omicidio, lo stronzo si è ricordato di noi! Così ti abbiamo informato del suo piano e ci siamo accordate con te per tradirlo e farlo fuori. Vero cara?", chiese conferma alla tettona, la quale annuì con un cenno della testa, senza proferire parola.

"Tu piuttosto", disse la magra, che ormai dava del tu al professore, "come hai fatto a conquistare la moglie di Valenza?".

"Il fatto è che Franca è ancora giovane... In tutti questi anni ha sempre sentito che le mancava qualcosa, anche se non sapeva cosa", spiegò Pontesardo. "Ma infine ha capito che non era qualcosa che le mancava, bensì qualcuno: un vero uomo, più deciso, più giovane, e magari con una bella Alfa Romeo!".

"A proposito, secondo me al funerale al posto del carro funebre ci sarà una misera seicento!", esclamò la giovane assassina ridendosela di gusto, e infierendo sul povero Valenza che, cadavere, giaceva riverso sui sedili. E come se non bastasse, sotto gli abiti borghesi del defunto attore, il volto di Che Guevara sulla t-shirt rossa aveva assunto un’espressione patetica, quasi come se avesse voluto dire, con cadenza partenopea:

“Don Romà, vi presento ‘o dolore: è ora che lo conosciate”.

A questo punto, dopo la frase in napoletano che Che Guevara rivolse a Valenza, il professore Pontesardo smise di scrivere. Aveva lavorato tutto il giorno a quel racconto. Adesso che si era fatta sera e la sua piccola opera era conclusa, lui seguitava a non sentirsi felice. Guardava come un fesso la matrioska che teneva accanto al portatile e, assalito da un moto di rabbia, la afferrò e gli venne voglia di scagliarla contro il muro. Poi lasciò perdere e la rimise a posto.

“Insomma”, si disse il professor Pontesardo, “l’immaginazione non cambia la realtà. E la realtà è che non sono mai stato a Milano in vita mia, sono io che fuggo dal dolore, e nonostante mi sia riempito di cambiali per comprare un’Alfa Romeo, mia moglie mi ha lasciato per quel vecchio attore da strapazzo. E sono fuggiti insieme a bordo di una fottutissima seicento!”.