“Grazie tante per il premio di consolazione, maestrina con la penna rossa dei miei stivali”, pensò. Il professore spiegò alla tettona che in effetti viaggiava spesso per questioni di lavoro, e che adesso stava appunto recandosi a Milano per fare da giurato in una importante gara di matematica.
"Ah! A me piaceva la matematica, quando andavo a scuola. Ero anche brava", aggiunse con fare civettuolo mentre la sua amica, quella magra e taciturna, la guardava con aria di rimprovero (o forse con un pizzico d’invidia).
"E lei come se la cavava signor Valenti?", domandò la donna tanto per cercare di cavare una parola di bocca al suo vicino di posto.
"Me la cavavo bene", mentì l’attore, «però mi chiamo Valenza», precisò, e la tettona si scusò per l’errore e disse con autoironia che la sua memoria peggiorava di giorno in giorno.
Poco dopo il professor Pontesardo annunciò che usciva per andare a cercare il ragazzo con il carrello-bar: gli era venuto appetito. Chiese alle donne e a Valenza se poteva offrire qualcosa: le ragazze accettarono, Valenza ringraziò ma disse che non voleva niente.
"Allora io torno subito", assicurò il professore uscendo dallo scompartimento. Appena ebbe chiuso la porta scorrevole dietro di sé, la donna magra si precipitò a chiedere a Valenza: "Allora, direttore, come siamo andate? Siamo state brave?".
"Non c’è male", rispose il capocomico. "Continuate così, e soprattutto ricordatevi del veleno nel caffè!".
La magra chiese poi altri consigli a Valenza su come doveva comportarsi, mentre la tettona stava sempre zitta e si limitava ad annuire debolmente alle indicazioni del capocomico, ma quando sentirono che il professore stava tornando, i loro caratteri tornarono a ribaltarsi.
"Ecco il rancio!", esclamò scherzosamente il professore con degli invitanti panini che aveva in mano. Dopo lo spuntino, la tettona non volle sentire ragioni:
"Professore, lei ha offerto i panini, ma sul caffè non si discute: ve lo offriamo noi donne! Anche a lei signor Valenti, almeno un caffè lo berrà?".
"Volentieri, ma continuo a chiamarmi Valenza...".
Così le due amiche uscirono, e Valenza restò solo con l’uomo che gli aveva rovinato la vita con la rapidità con cui si sussurra un nome ad un cuscino campione di omertà. La voglia di saltargli addosso e strozzarlo era forte, però si impose di aspettare: “La vendetta è un caffè che va bevuto freddo”, rifletté divertito fra sé e sé.
"Mi piace la sua ventiquattrore", si complimentò con la sua vittima, indirizzando la conversazione su argomenti banali. "La mia valigia, invece, è davvero demodé".
"Grazie signor Valenza", rispose un po’ confuso il professore. "A dire il vero quando vado a Milano non so mai cosa portare e cosa no".
"Capisco. Be’ anch’io sono spesso indeciso, ma una cosa la porto sempre con me", confessò Valenza, e aprendo la sua vecchia valigetta tirò fuori una bellissima matrioska.
"Sa professore", spiegò l’anziano capocomico, "una volta lessi in un bel romanzo una frase che diceva che “la realtà è solo la mancanza apparente della contraddizione”. Ricordo che pensai: “Quindi ogni realtà ne contiene un’altra più piccola, più sottile, che la contraddice. Un po’ come la matrioska che io uso per soprammobile”. Da allora, caro professore, ogni volta che parto per una tournèe o un semplice viaggio mi porto sempre queste bambole dietro".
"Ah, come portafortuna?".
"No, come promemoria".
Il professore definì la cosa “interessante”: il modo più efficace per tarpare le ali alla conversazione. Le due donne tornarono, porsero il caffè al professore e a Valenza e si sedettero a bere più tranquillamente. Di solito il caffè tiene svegli, ma quella volta ebbe l’effetto contrario: un certo sopore si diffuse nello scompartimento, nessuno parlava più. E pensare che mentre tutti sonnecchiavano un uomo si stava sentendo male. Si sentiva soffocare sempre di più, sempre di più: un nodo in gola sempre più stretto, terribile. Tremava tutto mentre la lingua gli si girava in bocca, impedendogli di chiedere aiuto. Tutti gli altri dormivano o fingevano di dormire, finché si addormentò pure lui. Per sempre!
A quel punto il professore smise di sonnecchiare, fece un salto di gioia e baciando le due attrici gridò con voce sadica: "Finalmente!".
"Un momento", intervenne la magra. "Non cantiamo subito vittoria...", e si avvicinò a Valenza per controllargli il polso e il cuore. Dopo la verifica affermò con sicurezza:
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