Dopo un mese di indagini ricostruì l’identikit dell’amante di sua moglie. Un identikit, a dire il vero, piuttosto sommario. Seppe solo che si chiamava Francesco Pontesardo, professore di matematica, quarantasei anni e, soprattutto, una Alfa Romeo nuova di zecca, metallizzata e superaccessoriata che sembrava facesse impazzire l’adultera Franca, specialmente se paragonata alla modesta seicento che possedeva Valenza. Che in fondo non aveva molti soldi, perché come attore il grande successo, quello vero e redditizio, non era mai arrivato.

“Sta bene”, pensò Valenza. “Vuol dire che io che ho recitato soprattutto farse concluderò la mia carriera dando vita ad una tragedia, proprio come Otello! Si dice che questo professore dei miei stivali vada spesso a Milano per questioni di lavoro: benissimo. Vorrà dire che la prossima volta a Milano non ci arriverà vivo!”.

Perché Valenza, che in vita sua non si era mai applicato più di tanto, prese una così drastica e irrevocabile decisione? Forse, in quel momento, era soltanto un napoletano verace ferito nel suo orgoglio sessuale e cornificato da un mezzo milanese: davvero troppo per qualsiasi napoletano che si rispetti!

Artisti, scienziati o veline che siamo, diventeremo tutti ragionieri il giorno in cui dovremo fare i conti con la vita.

Per Romano Valenza era arrivata l’ora di fare il ragioniere.

Pochi giorni dopo, a piazza Garibaldi, proprio sotto la grande statua dell’eroe dei due mondi, in mezzo a un drappello di tossici e barboni un uomo si distingueva per il suo aspetto austero: era il nostro Romano Valenza. Fumava una sigaretta aspettando con impazienza che si facesse l’ora di prendere il treno. Con sé una piccola valigia passata di moda.

Quella era la mattina della sua vendetta. Era stato costretto ad architettarla in pochi giorni, eppure più ci pensava e più si convinceva di aver scritto un copione perfetto. L’aspetto era austero, certo, ma nessuno poteva immaginare cosa indossava Valenza sotto l’impeccabile impermeabile chiaro, la camicia a righe e la cravatta dal nodo perfetto. Si trattava di una t-shirt di colore rosso acceso sulla quale era stampato il volto di Che Guevara, che proclamava “hasta la victoria siempre”, viatico per l’impresa che si accingeva a compiere. Il tempo sembrava non passare mai, ma poi passò. Valenza si diresse verso la stazione, salì sul treno e occupò il posto in prima classe che aveva prenotato. Di fronte a lui era seduto il suo uomo: il professore Francesco Pontesardo. Valenza per la prima volta poteva osservarlo da vicino: pochi capelli, ma un paio di baffi perfettamente curati ed un’abbronzatura fresca di lampada. Non gli sembrò bello, e questo lo fece incazzare ancora di più. Certo, il professore era più giovane di lui, e aveva anche un fisico più asciutto, ma ad un certo puntò per leggere un biglietto si mise addirittura gli occhiali: “Pure miope!”, lo maledisse Valenza.

Insieme all’aspirante assassino e alla sua vittima predestinata, nello scompartimento c’erano due donne, due amiche, piacenti e giovani, sulla trentina. Una in particolare, la tettona seduta accanto a Valenza, sembrava più loquace: fu lei a rompere il ghiaccio, cominciando a conversare con il professore. Nel giro di pochi minuti la chiacchierata diventò intensa, anche se Valenza e l’altra donna, quella più magra affianco al professore, vi partecipavano appena.

"E così", disse ad un certo punto la tettona, "lei, professore, ha paura dell’aereo?".

"Sì", ammise il professore sorridendo. "Mi vergogno un po’ a confessarlo, ma viaggio sempre in treno".

"Quindi niente automobile", dedusse la tettona. Ma aveva dedotto male, perché il professore precisò: "No, ce l’ho eccome l’automobile!".

Valenza ascoltando quel punto esclamativo ingoiò un boccone amaro: sapeva a quale automobile si riferiva il professore, e per un attimo gli balenò davanti agli occhi l’immagine di Franca e del suo amante che facevano selvaggiamente l’amore in una Alfa Romeo nuova di zecca, proprio come due ragazzini infoiati, mentre lui li guardava come un allocco dalla sua malinconica seicento. Fu un attimo, perché il professore continuò: "Eppoi preferisco viaggiare in treno perché c’è più tempo per scambiare quattro chiacchiere e fare incontri piacevoli. Come con voi due", disse cercando di adulare le sue interlocutrici. "E ovviamente anche con lei, signor Valenza...".

"Grazie professore", disse Valenza.