Una stanza, un attore. La stanza è quella del titolo, la 1408 (ovvio pensare che possa funzionare come la 237 di Shining), l’attore è John Cusack. La prima è una stanza né bella né brutta, una stanza d’albergo come tante, non fosse che parecchie persone una volta entratevi sono morte nel breve giro di un’ora (“Sono finite a vedere crescere le margherite dalla parte delle radici”). Il secondo è tale Mike Enslin, scrittore fortemente scettico riguardo tutto quanto esiste di classificabile sotto forma di “fenomeni paranormali”, talmente scettico che qua da noi sarebbe già diventato presidente onorario del CICAP. S’è già capito come andrà la faccenda: “Non credi? Allora crederai, ohh ti assicuro che lo farai…” (quanti sceneggiature fuoriuscite da una così semplice regola…). Il film funziona, e anche bene. Da segnalare l’avvicinamento al Dolphin Hotel (dove si trova la malefica camera), il colloquio tra il direttore, Olin (Samuel L. Jackson) e lo stesso Enslin, quello che inizia ad accadere a quest’ultimo quando si chiude alle spalle la porta della 1408. Ovvio che la strafottenza con la quale vi era entrato lascerà ben presto il posto ad un terrore più che palpabile anche grazie ad una eccezionale performance del mai bravo come stavolta John Cusak. Recitare come fa Cusack attingendo ad una vastissima gamma espressiva, dal terrore puro all’isteria, dalla rassegnazione alla speranza non è cosa semplice, soprattutto perché il pericolo di finire, una smorfia dopo l’altra, sommersi da palate di ridicolo è sempre in agguato. Altrettanto valida è la regia dello svedese Mikael Håfström (Evil, Derailed), bravissimo a seguire le regole che la casistica delle stanze (case) haunted prescrivono, e che fondamentalmente consistono nel trasformare uno spazio neutro in uno spazio ostile per poi dilatare e restringere lo stesso spazio a seconda delle circostanze, così che a tratti la stanza sembra diventare enorme, a tratti minuscola (altra regola è quella che una volta entrati diventa quasi impossibile uscirne…). Peccato il finale, cervellotico come poche volte si è visto. Una frenesia inspiegabile affastella finali e sottofinali, buoni sentimenti e lutti famigliari, affermando e smentendo, mischiando le carte tanto per mischiare, mandando alla malora tutto il buono che s’era visto. Agli antipodi di Il nascondiglio insomma…