Pelle chiara e gocce in trasparenza.

L’acqua calda accarezza le labbra e gorgoglia nella ceramica scorrendo dalle gambe.

Il corpo pallido di sapone respira e si muove nello scroscio della doccia massaggiandosi i muscoli con passione. I lunghi capelli biondi sono schiacciati sulla pelle, creano rivoli di schiuma sul petto e sulla schiena.

Radici che si proiettano dal capo, ravvicinate dall’impeto dell’acqua, disegnano ricami sulla pelle. Decorano le spalle, lambiscono i capezzoli. S’incuneano tra le ascelle lisce e percorrono le dune tenere e imperlate. Le unghie curate sfiorano le natiche e le cosce, impigliandosi tra i riccioli sottili del pube. I seni accolgono il liquido sulla loro superficie e gocciolano dalle punte nel calore dei movimenti.

Michela fa la doccia in un mattino dolce d’inverno. Scioglie le bianche bolle di spuma sotto il getto caldo e si scuote. Strizza i capelli piegando leggermente la testa di lato. Volta la schiena allo specchio e con lo sguardo oltre la spalla lucida osserva l’acqua colpire le fossette alla base della colonna vertebrale. Nel vapore rilassante i palmi delle mani avvolgono i seni, scendono umidi sulle costole, si allargano sui fianchi e rientrano a congiungersi sull’ombelico, fino a scivolare sul ventre bagnato e dai peli passano ai testicoli, fin sulla punta del pene.

Riconosce il suo corpo. Ogni mattina. Questo rituale la eccita. Le succede sempre, ammorbidita dal liquido e dal vapore. Il suo corpo femminile si trasforma in quella parte di sé alla quale non vuole rinunciare.

Il piacere che ne ricava la soddisfa pienamente, ma la rende anche capace di soddisfare qualsiasi richiesta, in cambio di un po’ di attenzione alla sua zona più sensibile. Lo sanno il suo uomo e il suo amante. E tutti gli altri uomini che però, per averla, devono pagare.

- Gino, Gino.- L’ammasso di coperte ammucchiate sulla fila di sedie metallo non si muove.

- Gino, Gino.- Ancora. Un uomo avvolto di sciarpa oliva dà un’altra scrollata alle spalle del groviglio di coperte.

Una testa soffocata di sonno, insaccata in un cappello lanacrilico si volta con occhi gonfi e scatarra: - Oh.

- Gino, mi servi, Gino, alzati.

- Cesidio,- ribolle la bocca impastata - ma che ore sono?

- Sono le cinque, Gino, in piedi, dài che ho fretta.- Lo sferragliare vicino delle serrande del bar in apertura scuotono il corpo informicolato di Gino. Fa per alzarsi ma i muscoli non rispondono, allora borbotta: - Almeno un caffè.

- Gino, ti vado a prendere il caffè ma tu ti devi alzare subito.

- Lungo.

- Eh?

- Lungo, il caffè.

- Vedi di alzarti, stronzo. Altro che lungo.

Mentre Cesidio si allontana svolazzando la sciarpa sul collo, Gino si tira su a fatica dalle panchine della stazione e si guarda attorno. La Nuova Stazione di Pescara ha un vasto atrio a livello del mare dal quale si accede ai binari sopraelevati attraverso varie scale e ascensori. Nell’atrio il tempo scorre con una luce limone costante.

Immediatamente dopo aver aperto gli occhi una patina di giallo impera sulle cose. Solo qualche secondo e i colori si alleano per ricreare un equilibrio cromatico a scapito della prepotenza dei neon itterici. Cerchi luminosi incastonati in un soffitto ipnotico di righe nere su bianco sporco. Un soffitto che ondeggia a sbalzi di diagonali che incrinano e schiacciano la prospettiva. L’occhio scivola sul rosso delle scale mobili che respirano a ritmo di valzer…

TA TAZUM - TA TAZUM - TA TAZUM

La testa gira a vuoto. La luminaria al neon rosso del ‘bar caffè cassa gelati panineria snack’ contribuisce a mantecare gli occhi di un velo stanco e sofferente. Il bancone del bar si affaccia direttamente sull’atrio, una ressa di corpi è già in fila alla cassa. Di fronte al bar, la Libreria fa da rIfugio a tanti viaggiatori, nell’attesa che i pensieri scorrano sui binari. Chiuso in un fortino di legno, l’avamposto della parola scritta conquista deciso buona parte della visuale.

- Ehi,- TA TAZUM – TA TAZUM - ehi, Gino, il caffè.

L’uomo intorpidito dall’umidità nota il vapore del caffè uscire dalla plastica bianca del piccolo contenitore da asporto: - Ah, grazie. - Prende il caffè che l’altro gli tende e lo inghiotte in un fiato solo.

- Ti ho cercato su in sala d’attesa…

- Ah, scì, ci hanno cacciato quelli della Polfer, perché Il Piscione aveva impuzzonito tutto: un colera.

- Bene, allora stammi a sentire.- Cesidio, cappotto e berretto, gli siede affianco - Io mi fido di te.