Ho letto Soprattutto Michela di Mauro Smocovich come si legge una poesia. Perché questo racconto ha qualcosa che richiama alla mente la poesia. Prima di tutto una forma di rispetto verso la propria creatura, verso ciò che si scrive. Una delicatezza, un pudore raro a trovarsi. Poi una prosa lieve, leggera, curata nei minimi particolari, eppure libera, fluente. L’incipit è un profluvio di suoni dolci appositamente scelti per dare la sensazione di qualcosa di sinuoso, flessibile, femmineo. Il respiro del corpo, il gorgogliare dell’acqua, il lambire dei capelli. Un incrociarsi di esse, effe, gi dolce, bi, ci, che avvolgono il lettore come in uno scialle di seta. Michela (fugace accenno alla sua omosessualità) è colta nei suoi atteggiamenti femminili, nella cura minuziosa della persona. Michela si ama, ama tutto di sé, i suoi capelli, le braccia, le gambe, tutto il suo corpo. Così d’istinto, un istinto spontaneo e leggero come i suoi movimenti. E’ innamorata. Di qualcuno che l’aspetta sul letto. E c’è Cesidio geloso che vuole scoprire chi è nella casa con lei. C’è un richiamo alla violenza: un coltello, una pistola. C’è una fine ironia che pervade i due personaggi maschili. E c’è… non importa chi altri ci sia in questo breve racconto. Qui c’è Michela che giganteggia, qualche fugace sguardo alla città deturpata dal cemento e la tristezza. Una tristezza che scende nella città e nel cuore. Michela e la tristezza. Ovvero Michela, la sua voglia di vivere e la tristezza angosciosa della vita. (Fabio Lotti)