Questa volta la nostra consueta incursione svedese sarà un po’ diversa dal solito per una serie di motivi.
Innanzi tutto affronteremo i padri nobili del noir scandinavo, i coniugi svedesi Sjöwall & Wahlöö: e anche se l’analisi non verterà tanto sul romanzo in senso stretto, tuttavia avremo modo di sottolineare alcune loro peculiarità
In secondo luogo parleremo di un recente malvezzo nazionale in fatto di traduzioni: quello di non seguire l’ordine cronologico di uscita della serie, specie – come in questo caso – quando ormai si è conclusa da tempo, a causa di logiche di marketing più meno comprensibili che finiscono però per danneggiare il lettore.
Infine ci occuperemo di un altro malvezzo, più antico, dei nostri editori: quello di non rispettare, anche per una serie di motivi più o meno rispettabili, il testo originale.
I coniugi Sjöwall & Wahlöö decidono a metà degli anni Sessanta di pubblicare una serie ben definita di gialli – dieci, per l’esattezza (e questa nordica programmazione ricorda quella di due decenni dopo di Henning Mankell per il “ciclo Wallander”) – che hanno come sfondo la Svezia contemporanea con le sue magagne capitalistiche (entrambi gli scrittori sono di orientamento socialista-marxista) e come eroi i componenti della Squadro Mobile di Stoccolma guidata da Martin Beck, promosso commissario nel corso del ciclo.
Roseanna del 1965 è il primo e Un assassino di troppo del 1974 è il penultimo.
In quest’ultimo i due autori fanno alcuni richiami intertestuali che possono costituire la gioia per gli appassionati che li abbiano fedelmente seguiti anno dopo anno, romanzo dopo romanzo, ma che è quasi un attentato alla libertà di scelta (e d’innocenza) del lettore comune: nel corso del libro, infatti, gli autori non si fanno scrupolo di introdurre come personaggi i colpevoli – che noi non naturalmente non sveleremo – delle prime due inchieste: Roseanna, appunto, e Mannen som gick upp i rök del 1966.
Bene. Anzi, male.
Ad aggravare la situazione arriva anche la Sellerio: che da un lato si rende benemerita nel riscoprire la coppia di autori scandinavi e nel tradurli per la prima volta direttamente dallo svedese: ma, invece di riproporre alla solita cadenza annuale i vari romanzi nell’ordine in cui vennero pubblicati in patria nel 2005, propone ai lettori italiani prima Roseanna e poi Un assassino di troppo. Con il risultato di avvelenare la lettura a chi, incautamente, non li avesse acquistati nell’ordine voluto dalla casa editrice palermitana.
Per dare però a Cesare quel che è di Cesare, bisogna dire che nel corso degli anni Settanta la Garzanti pensa bene di fare concorrenza allo straripante e filoanglosassone “Giallo Mondadori”, traducendo autori meno conosciuti e provenienti da altre aree: tra questi Sjöwall & Wahlöö: ma, come preoccupata da tale ardire (o più prosaicamente – crediamo – per ragioni economiche), la versione in italiano non viene condotta sull’originale svedese, bensì su quella, intermedia, inglese: e anche se la traduttrice è la bravissima Hilia Brinis, già sperimentata nel “Giallo Mondadori” e anche se la circostanza viene chiaramente segnalata, tuttavia la questione non è di poco conto. Si ha l’impressione che su un noir ci si possa permettere delle libertà che nessuno ardirebbe prendersi con un testo “serio” o – Dio ci scampi – di poesia. Ve l’immaginate uno Strindberg tradotto in Italia su una versione inglese o francese? Roba da Vincenzo Monti, “gran traduttor de’ traduttor d’Omero”…
Non basta. Andando a spulciare l’edizione Garzanti (del 1976) e quella Sellerio del romanzo di cui ci dovremmo occupare in questa sede, Un assassino di troppo appunto, troviamo diverse perle. In parte perché il testo di riferimento è quello inglese, in parte perché si ritiene che l’integrità del romanzo non sia un feticcio quando si tratta di noir, nell’edizione Garzanti vengono omessi o inspiegabilmente tradotti in inglese (nella versione italiana!) innocenti giochi di parole, alterati nomi di personaggi, eliminati riferimenti intertestuali.
Niente di irreparabile, per carità: se confrontati con i pesantissimi tagli subiti dai gialli anglo-americani nei “Libri Gialli” e nei primi decenni del “Giallo Mondadori”, questi appaiono peccatucci veniali.
Anche perché le parti di più accesa denuncia dell’ipocrisia del paradiso socialdemocratico svedese (l’inefficienza degli aeroporti e della sanità, la riorganizzazione centralizzata della polizia, lo strisciante nazionalismo razzista che affiora negli agenti più giovani) rimangono fortunatamente a nostra disposizione: non foss’altro ci permettono di restituire a Mankell (e colleghi) il posto, pur notevole, che compete loro nella letteratura noir scandinava senza però doverli considerare dei geniali innovatori. Riformatori, semmai, sulla scia di Sjöwall & Wahlöö.
Ma per chi come noi ama il noir, e non crede che il valore di un’opera sia pregiudizialmente legato al genere a cui appartiene, questa disinvoltura di editori passati e presenti nei confronti del lettore ci irrita.
E, se permettete, stavolta daremo tre voti: il primo agli autori, il secondo alla Garzanti, il terzo alla Sellerio.
Sjöwall & Wahlöö: 7
Garzanti: 4
Sellerio: 5
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