Longarone. Alle 22,39 del 9 ottobre 1963 dalle pendici del Monte Toc, preceduto da evidenti segni premonitori, si stacca su un fronte di quasi 2 chilometri e quattrocento metri una massa di roccia valutata in 26O milioni di metri cubi, che alla velocità di 5O-6O chilometri all'ora precipita nel bacino del Vajont in quel momento a quota 7OO,42 cioè 25 metri sotto il livello di massimo invaso dalla diga a doppia volta più altra del mondo.
E' una frana che non ha riscontro tra quelle cadute in epoca storica in Europa. Il materiale raggiunse l'altezza di 4OO metri sul fondovalle, tanto che nel punto più elevato sormontò la diga di 14O metri. Sollevando 5O milioni di metri cubi d'acqua fino all'altezza di 23O metri. L'ondata ebbe un effetto devastante tanto da spazzare via come fuscelli gli abitati di Erto e Casso. Poi, superato lo sbarramento di cemento armato della diga, si abbattè come un maglio nella valle del Piave, mutilando Castellavazzo e cancellando Longarone.
Rimarrà per tanto tempo nei ricordi la vicenda di un ragazzo di Longarone che rientrava nel suo paese da Castellavazzo dove era andato a trovare la fidanzata, che, all'improvviso, si trovò senza la strada. Le sue ruote rimasero in bilico sul precipizio. Si salvò grazie alla sua prontezza di riflessi. I suoi familiari erano già tutti morti. L'onda uccise in pochi attimi quasi 2OOO persone.
Si salvarono solo in 67. Che ancora ora sono vivi ma portano nel cuore e nell'anima i segni di una tragedia immane. Molti di loro non riescono ad addormentarsi. Vivono con l'incubo che possa realizzarsi materialmente un'altra tragedia. E in questi giorni lo sbricciolamento delle Dolomiti ha suscitato questi pensieri angosciosi.
Non dimentichiamo che il monte Toc si chiamava così perchè in gergo locale significa "Marcio". Ma i progettisti della diga e La Sade la società appaltatrice se ne fecero un baffo. Pur sapendo a cosa sarebbero andati incontro. Infatti una scrittrice locale che collaborava con l'Unità, Tina Merlin, ha ben rappresentato i retroscena di una tragedia annunciata. Fu un vero e proprio olocausto. E ci vollero anni perchè venisse fatta giustizia anche se nel processo presso il Tribunale di L'Aquila iniziato nel dicembre del 1969 e conclusosi nel'73 i giudici furono benevoli con gli imputati tutti ingegneri e architetti.
Dovettero passare molti anni perchè un coraggioso cantastorie Marco Paolini e un regista, Renzo Martinelli, con il film Vajont documentassero con le parole e le immagini fatti e misfatti di questa incredibile costruzione di una catastrofe annunciata.
Ora il regista Renzo Martinelli vorrebbe realizzare un sequel a questo film in onore degli abitanti di Longarone e alla memoria di quelli che sono morti tragicamente sepolti sotto un mare di acqua e fango, con la diga immobile quasi a sbeffeggiare chi era già stato sbeffeggiato con false promesse di lavoro e di tranquillità futura raggiunta invece solo con la morte. In questa immane tragedia sono deceduti 15O bambini in età scolare. Eppure dopo solo 7 giorni dal disastro le scuole riaprirono le porte anche se a sedere sui banchi erano solo in 7. Sette come i giorni che erano passati da disastro.
Ora Longarone sembra una città cementificata come se fosse preparata a ricevere un terremoto che in effetti c'è stato nel 1976 e non ha scalfito una muratura. La valle ancora una volta tremò ma le case e la solita diga rimasero in piedi. La diga è diventata un bussines perchè ogni giorno arrivano decine di corriere cariche di turisti in visita ai luoghi del disatro e alla diga che si può percorrere dall'altro lungo un percorso costruito nel 2OO3 e ultimato da poco.Aspettiamo con ansia il nuovo film di Martinelli se riuscirà a superare le pastoie burocratiche. Perchè per anni la vicenda del Vajont rientrò tra i casi intoccabili.
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