La relazione che lega ormai indissolubilmente Danilo Arona e Melissa Parker è forse qualcosa che va al di là del pur complesso rapporto professionale narratore personaggio. Contrasto. Identificazione. Catalogazioni semplici che forse in questo caso non trovano spazio per dare una spiegazione sufficientemente convincente. Esiste qualcosa di ancora più profondo, qualcosa che di sicuro brucia dentro entrambe le anime e che alimenta il calore di sentimenti e immagini che avviluppano come fiamme vere e proprie le pagine di questo nuovo romanzo di Arona (Melissa Parker, e l’incendio perfetto, Dino Audino Editore, e uscito a brevissima distanza da un altro romanzo di grande strappo qual è Finis Terrae pubblicato nella collana Segretissimo di Mondatori.)
Melissa Parker muore alle cinque del mattino travolta da un auto. Muore bruciata su una collina del Kent. La trama a seguire si dipana in modo semplice come nella miglior tradizione del romanzo di genere: un’altra ragazza, Debra Shepherd, che vive a poca distanza dalla collina dell’incidente, popola i suoi incubi di adolescente con le immagini sconvolgenti della morte di Melissa. Debra si trasferisce in Italia, e ogni suo passo è accompagnato da un incendio, da piccoli misteri e ricerche. Oltre che da una voce d’oltretomba, una voce non sua. Una voce che pare essere di quella Melissa morta il 29 dicembre 1965. Circa cinquant’anni prima.
Ma si va ben oltre la trama. Danilo Arona riesce a dare, semplicemente e inspiegabilmente. Dimostrando che la capacità di narrare è nel narrare stesso e non in filamenti razionali che tengono insieme una storia (e le librerie sono popolate da troppi incubi di questo tipo). Con Melissa Parker il fuoco divampa e brucia come un elemento quasi sacrale, così come nelle grandi tradizioni culturali d’Oriente rappresenta uno degli elementi primari della vita. Il fuoco come armonia, ricompone e non distrugge. In questo caso eleva inquietudini, paure, incredulità e incubi e li trasforma da instabilità umana a certezza dell’intrigo passando attraverso una serie di fasi di rottura degli universi narrativi, dei ritmi, e degli spazi geografici. Compresi i vuoti e i pieni che si armonizzano nella trama producendo una sorta di “delirio” narrativo, però mantenendo sempre la guida salda su un percorso fluido, raccontato con lo stile classico di Arona, sintesi perfetta tra il servizio giornalistico distaccato e la cruda partecipazione vissuta in prima persona. A volte con il puro tratto epistolare.
Nel peregrinare di Debra, e nell’apparente scollegamento fra morti, strisce d’asfalto e mondo telematico, il polo che alla fine calamita gli avvenimenti è Bassavilla, città del basso Piemonte (città di pianura, acquitrinosa, immersa nelle nebbie sin dagli albori. Città misteriosa, enigmatica, covo di antiche e moderne superstizioni. Antico baluardo militare, percorso sottoterra da vecchi e impenetrabili corridoi, putridi sotterranei, dove alcuni sostengono che la gente viva, come scrive lo stesso Arona) con la quale l’autore vive un profondo senso di appartenenza tanto da renderla appetibile a chi ha scelto il mondo del soprannaturale e del noir come mondo con il quale confrontarsi da scrittore. Bassavilla, Questa è Alessandria, la città dove Danilo Arona, scrittore, giornalista, amante dell'horror e del noir, ed esperto di esoterismo, è nato nel 1950. L’entità-Alessandria è un elemento che caratterizza il suo lavoro, un’entità-anima più che architettonica o culturale come succede con scrittori legati alle proprie origine territoriali (leggi milanesi, bolognesi, romani, ecc). Appartengo ad Alessandria, dice Danilo, dalla quale temo di non poter sfuggire perché ne sento in me tanto il marchio quanto le radici. E, di certo (ma lo sosteniamo in tanti) qui si respira una salutare "aria gotica", soprattutto in certo Monferrato autunnale... altro che nebbie alla Carpenter o castelli stile Hammer, venite a Rocca Grimalda... Scherzi a parte - ma mica tanto - Alessandria trasfigurata in Bassavilla mi pare una funzionale location per il genere di storie che propongo. Ed è una soluzione comoda perché non devo inventarmi nulla. Per onestà va ricordato che King usa la stessa tecnica con la sua Castle Rock...”
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