“Come ti chiami?”

“Puoi chiamarmi Franz, come tutti.” Mi parla senza distogliere lo sguardo dalla lettura.

“E’ da tanto che sei qui?”

“Un anno e mezzo.”

“E quanto ti manca?”

“In tutto sono cinque. Fallo tu il calcolo. Io non voglio saperlo.”

“Perchè?”

“Se incominci a fare la conta alla rovescia il tempo si paralizza… non passa più e te ne stai in paranoia dalla mattina alla sera…”

“Io mi chiamo Miguel Antonio Charro Sanandres.”

“Non è che quattro nomi sono pochi? Potresti aggiungerne qualcuno giusto per renderti la vita più facile, e fare incazzare gli sbirri quando devi firmare le loro scartoffie.”

“A casa mia tutti abbiamo due nomi e due cognomi.”

“Qui non sei più a casa tua. Però, a guardarti bene, con quella faccia dal colore di un’oliva, i baffi e la pancia che ti scappa da tutte le parti secondo me ti starebbe meglio Garcia… si, Garcia… come il sergente di Zorro. Non ti offendi se ti chiamo Garcia?”

Io non capisco cosa dice ma rispondo di si. Mi muovo dalla posizione di immobilità e finalmente con una torsione riesco ad appoggiare i piedi per terra.

Rimango seduto sul letto, davanti a lui.

“E ti hanno dato cinque anni perchè vendevi erba?” gli chiedo.

“No. Non era erba. Il giudice ha detto che erano un centinaio di pastiglie di exstasy. Un vero affare secondo lui. Le avrei comperate in blocco da un serbo con la faccia da killer che avevo conosciuto la sera prima in discoteca. Gli sbirri gli stavano con gli occhi addosso, forse è stato quello stronzo a fare la spiata. Per cavarsi dalle grane ha fatto il primo nome che gli è passato in testa, quello dell’ultimo tizio che aveva conosciuto. Il più facile da ricordare. Ma il giudice non ci ha creduto a questa tesi…”

“Cinque anni!?”

“E già, tondi tondi. Ma sono stato sfigato… sfiga su sfiga… - piega il collo e si perde a guardare verso l’alto - In quei giorni era morto un ragazzotto che aveva esagerato a mandare giù quella roba. Sai, giornali e televisioni hanno fatto un casino della madonna e quando hanno beccato me, che con quel tipo non c’entravo un cazzo, il giudice ha voluto dare una punizione esemplare. Lui l’ha chiamato un segnale per la società civile.”

“E allora a me quanto danno?”

“Che ne so Garcia. Non so neanche che cazzo hai combinato con i tuoi fiorellini appassiti.”

“Non erano fiori.”

Continua a leggere. Forse non gli importa nulla di me.

E a me viene in mente Ramon che l’hanno portato in ospedale con l’ambulanza, e io invece sono finito dentro una macchina della polizia che mi ha portato dritto dritto in questura. Mi hanno fatto sedere davanti a un tavolo di ferro, e mi hanno lasciato lì da solo, in quella stanza senza finestre, per almeno una mezz’ora. Poi è entrato un poliziotto, poi il secondo, poi pure il terzo, e avanti così, e alla fine quella stanza sembrava il mercato del mio paese. Tutti gridavano, e facevano domande, e io non capivo neanche bene cosa dicessero. Poi uno ha aperto un pacchetto davanti a me.

“Allora Garcia, - Franz mi parla tenendo sempre gli occhi puntati sul suo libro - ti decidi a dirmi perché sei qua dentro, o devi fare tanto il prezioso?”

“Diamanti…” sussurro, e Franz lascia cadere il libro e apre la bocca solo per dire ...minchia! e continua:

“Come nelle favole… ti ricordi le illustrazioni con quei forzieri stracolmi di gemme che luccicano, e tutto attorno barili di polvere da sparo e facce da pirati?”

Neanche questa volta capisco cosa dice ma ricordo solo tutti quei diamanti che c’erano sul tavolo in questura... e tutti insieme creavano una specie di luce bianca, trasparente, e allo stesso tempo brillante, come l’acqua con i riflessi del sole dentro. Era la prima volta che vedevo dei diamanti. Sono rimasto con gli occhi pieni di quella luce e con le orecchie stonate dalle domande secche dei poliziotti. E soprattutto con l’idea di aver fatto tutto quel casino per trecento euro che mi rodeva il cervello come la punta di un trapano.

E cosa potevo dire agli sbirri. Non sapevo proprio nulla.

Da quel momento credo di non aver più aperto bocca.

“Cazzo! Roba mica da ridere… - mi dice Franz - una notizia così merita una pisciata.”

Lui si allontana. Solo di un paio di metri. Lo sento armeggiare vicino al water, ma non averlo più davanti mi crea un improvviso senso di solitudine, un vuoto nella pancia. Panico.